Se siete amanti del suono americana non lasciatevi sfuggire le uscite Thirty Tigers, etichetta indipendente che in questi ultimi anni difficilmente ha sbagliato un colpo. Si tratta di una indipendent label che ha messo sotto contratto parecchi musicisti, sia direttamente che con le sue controllate, alcuni piuttosto noti, altri degli emeriti sconosciuti. Non è mai venuto a mancare il supporto sia in termini di distribuzione che di produzione. I lavori sono particolarmente curati, si servono di alcuni dei migliori produttori oggi sul mercato e questo fa sì che sono in tanti, tra gruppi o solisti, che hanno deciso di lavorare per loro.
In questi giorni mi è capitato tra le mani il nuovo disco dei Jamestown Revival, un duo texano composto da Zach Chanche e Jonathan Clay, amici fin dall’infanzia e originari di Magnolia, Texas, che ci propongono un folk rock molto accattivante e, soprattutto, molto ben cantato. Sono già titolari di un paio di album, “Utah” (2014) e “The education of a wondering man” (2016). Il primo ebbe notevole riscontro presso la critica d’oltreoceano e buone risposte da parte degli ascoltatori.
Il nuovo “San Isabel” chiarisce ulteriormente le qualità dei nostri, suono asciutto, elettrico, ma senza esagerare e le voci che rappresentano la cifra stilistica peculiare del loro sound. Le armonie vocali sono molto curate, si prenda come esempio “Round praire road”, oppure l’iniziale “Crazy world (Judgement day)” ballata country dalle venature elettriche. Inoltre Chanche e Clay sono due belle penne e l’opera in questione lo mette in risalto rispetto al passato. Il punto di partenza è sempre Americana, con spruzzate folk rock urbano come risulta da “This too shall pass”, che ha come referente principale i grandi Simon & Garfunkel e dalla tranquilla “Killing you killing me”.
Ci sono pezzi che ci mostrano una profondità maggiore come nel caso della introspettiva “Who hung the moon”. Come già citato in precedenza sono le armonie vocali il punto di forza dei Jamestown Revival, mentre il supporto strumentale agisce in secondo piano, quasi da contorno e mai in veste solista.
“Someting that you know”, il brano più lungo del disco, è un bell’esempio delle loro capacità: possiede un ritornello molto interessante e si muove attorno ad atmosfere nostalgiche. C’è spazio anche per una cover, l’indimenticata “California dreamin’” dei Mamas and Papas, che viene riletta rimanendo fedele all’originale, per una versione che dà lustro alla bravura di Zach e Jonathan.
In definitiva un lavoro che conferma i nostri un gruppo in crescita con ottime prospettive per il futuro.


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