JACK O’ THE CLOCK – ‘Leaving California’ cover albumChe belle sensazioni all’ascolto di questo disco uscito su Cuneiform, una etichetta eclettica che spazia dal jazz, alla musica di ricerca e persino al prog, anche se in una visione attuale e moderna. Fred Frith ha definito i Jack O’ The Clock come un blend di Van Dyke Parks e di folk music.

Lasciamo che sia il gruppo a descrivere, con il proprio suono, ciò che siano veramente. Un album orientato alle canzoni che apparentemente è folk-rock eccentrico, ma riesce a fornire un’ulteriore serie di livelli da tirarsi dietro. Forse il più moderno outfit dark americano, l’ultimo di questo quintetto prende il titolo sulla decisione dei membri della band Damon Waitkus (voce, chitarre, dulcimer) e Emily Packard (violino) di lasciare la loro casa, lo è stata per lungo tempo, in California per la East Coast. Mentre Waitkus e Packard, una coppia sposata, si sono trasferiti relativamente di recente, queste canzoni sono state scritte negli ultimi anni. I loro compagni di formazione, Jason Hoopes (basso), Jordan Glenn (batteria) e Thea Kelley (voce) sono rimasti in California e il gruppo ha terminato il lavoro a distanza.

Forse questa lontananza ha dato al paroliere Waitkus un po’ di tempo per riflettere, poiché l’atmosfera di queste canzoni è malinconica e tuttavia mostra anche stranamente più gioia rispetto alle precedenti uscite del gruppo. I testi della title track, ad esempio, esprimono un esaurimento psicologico con lo stress della vita nel Golden State, un luogo di eccessi, spese, lunghi spostamenti e una strana disconnessione. C’è una rassegnata accettazione che la loro destinazione sia migliore, non perfetta, il che è forse rappresentativo della maggior parte delle scelte che facciamo: il compromesso di una serie di problemi per una serie di problemi più accettabile.

Anche fedeli alla forma, alcune delle canzoni richiamano immagini inquietanti combinate con uno strano senso dell’umorismo. “The Butcher” e “A Quarter-Page Ad” sono esempi. Al contrario, “Leaving California” non ha le pause strumentali da rock da camera più lunghe e complesse che erano presenti nelle precedenti uscite del gruppo. Tuttavia, la raffinatezza musicale rimane, in forme più sottili. Ad esempio, il ritmo vampiro di “The Butcher” è accentuato da una pletora di strumenti diversi che scambiano motivi contorti e una varietà di altri stili rappresentati nei suoi passaggi. Un disco brioso che dona eccitazione, composto e suonato da musicisti che conoscono la materia e sanno come proporla. Chitarre acustiche in primo piano, ma le elettriche non sono assenti ed entrano in gioco quando necessario. Bella presenza di archi, melodie suadenti che sono affidate di volta in volta a voci maschili oppure femminili, con cori non esagerati, ma con il giusto dosaggio.

In sintesi, questo è un allontanamento dall’opera più apertamente avant-prog di Jack O’ the Clock e tuttavia è in linea con lo spirito del loro lavoro precedente. Ben fatto.


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