GUY DAVIS – ‘Be Ready When I Call You’ cover albumArtefice di un ‘gumbo’ musicale in cui si mischiano ingredienti blues, folk e Americana, Guy Davis torna in azione dopo l’apprezzatissimo disco (“Sonny & Brownie’s Last Train”) realizzato quattro anni fa con Fabrizio Poggi: in “Be Ready When I Call You” il chitarrista, banjoista e attore cresciuto nel mito di Blind Willie McTell e di Fats Waller conferma di meritarsi il titolo di ‘ambasciatore del blues’, componendo stavolta tutti i brani dell’album (a partire dal singolo “God’s Gonna Make Things Over”) con l’eccezione della classicissima “Spoonful” ripresa dal repertorio di Howlin’ Wolf. ‘Io chiamo la mia musica Americana’, spiega lui stesso, ‘ma ci infilo dentro anche un po’ di world music. In ogni caso, quando cerchi di creare bella musica non stai troppo a pensare alle categorie’.

Uno dei musicisti acustici più dotati del pianeta, Guy Davis mescola melodie leggere e ariose con profonde osservazioni sulla vita in un mondo travagliato nel suo ultimo album, il seguito del tour de force del precedente che gli valse il Grammy, assieme a Fabrizio Poggi, nel 2017. Figlio di Ozzie Davis e Ruby Dee – due delle luci più brillanti del movimento per i diritti civili e attori di spicco della loro generazione, Guy porta avanti la tradizione del cantautore qui, intrecciando melodie che invocano immagini di pregiudizio, separazione, tragedia e discordia in un modo che è sia sottile che commovente nella sua semplicità senza essere prepotente – qualcosa che un artista minore troverebbe impossibile da raggiungere.

Un mix di blues e americana, come detto sopra Davis ha scritto 12 dei 13 brani qui: una rarità in una carriera che abbraccia 27 anni, 14 album e riconoscimenti sia come musicista che come attore. Un narratore di talento, la sua piacevole voce di gamma media è più consumata dalla strada che mai, mentre i suoi talenti alla chitarra acustica, al banjo e all’armonica rimangono di prima classe. Catturato presso LRS Recording e Jeff Haynes Studios, “Be Ready When I Call You” trova Guy in molteplici ambientazioni musicali. È supportato dal Professor Louie (tastiere), John Platania (chitarre), Christopher James (mandolino, chitarra, banjo), Mark Murphy (violoncello, contrabbasso), Gary Burke (batteria) e Casey Erdman, David Bernz e Timothy Hill ai cori.

L’album esce dalla stazione malinconicamente con il blues scarno, “Badnonkadonk Train” – un astuto riferimento alla dipendenza dal sesso. Il nostro si descrive come avere 19 donne, ma desiderarne una in più. Il choo-choo nel titolo investe tutti sul suo cammino, incluso il suo predicatore e anche il Diavolo, mentre brama quella brava signora che si ravveda. Quella melodia funge da introduzione benevola perché le complicazioni iniziano a presentarsi con “Got Your Letter in my Pocket”. La sua melodia dolce e senza fretta smentisce le parole che descrivono un uomo in fuga dopo aver mentito al marito di una donna di non essere innamorato di lei dopo aver inconsapevolmente generato il loro bambino. Le cose si fanno davvero serie con la semplice “God’s Gonna Make Things Over”, la canzone più tragica e struggente del set – e uno dei brani più importanti che Guy abbia scritto nella sua carriera – due versi e ritornelli alternati capaci di portare chiunque abbia un cuore fino alle lacrime e una semplice rivisitazione del massacro che distrusse Black Wall Street a Tulsa nel 1921, una farsa razzista che è stata sepolta nelle sabbie del tempo fino a quando non è stata dissotterrata di recente. Il soggetto di “I Got a Job in the City” – un ritmo medio, un vero shuffle – è una passeggiata nel parco rispetto alle dichiarazioni politiche che lo precedono, anche se è pronunciato dalla posizione di un uomo che necessita di una bevanda forte dopo una dura giornata. Lo stesso vale per “I’ve Looked Around”, una ballata che ricorda a tutti che ogni persona in America è immigrata e ci chiede se abbiano visto la loro fame, la nudità o la sofferenza dei loro figli. Una vivace rivisitazione del classico di Willie Dixon/Howlin’ Wolf, “Spoonful”, offre un po’ di familiarità e conforto prima che “200 Days” descriva la chiusura di un mulino e la miseria che ne deriva. Il clima migliora leggermente quando Davis si lancia nel numero neo-ragtime, “I Thought I Heard the Devil Call My Name”, prima di illuminarsi drammaticamente con “Every Now and Then”, la celebrazione di una storia d’amore duratura che riflette sui problemi lasciati alle spalle.

Fortemente consigliato a chiunque abbia una profonda coscienza sociale e ami la musica con un messaggio!!!


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