GROUPER – ‘Shade’ cover albumA tre anni da “Grid of Points”, Liz Harris torna a vestire il suo moniker più celebre per la pubblicazione di un nuovo lavoro a firma Grouper. S’intitola “Shade” ed è uscito il 22 ottobre via Kranky. Nel 2019 Harris aveva dato alle stampe, a nome Nivhek, un progetto sospinto da una forte vena sperimentale tra folk e ambient: “After its own death / Walking in a spiral towards the house”.

A differenza di “Grid of Points”, scritto nel giro di qualche settimana, questo nuovo lavoro vede in tracklist brani registrati in diversi luoghi e situazioni negli ultimi quindici anni; a fare da amalgama per un così ampio spettro spazio-temporale sarà, evidentemente, il timbro meditativo e sospeso da sempre caratteristico della musica di Liz.

Ad anticipare il lavoro, un primo estratto, “Unclean Mind”, una sorta di nenia lo-fi su frequenze à la Elliott Smith, o più linearmente in continuità con lo spirito del suo “Dragging a Dead Deer up a Hill” (2008), alla quale fa seguito “Ode to the Blue”, altra ninna nanna sussurrata, appena accompagnata da un suggestivo videoclip girato in un cimitero.

Quando il primo materiale di Grouper ha cominciato a emergere attraverso le crepe nel muro dei CDR weird folk e delle cassette fatte a mano, potevamo già percepire che era qualcosa di diverso. C’era una semplice qualità che lo rendeva fuori dal tempo: questa era musica che suonava in armonia con il luccichio malinconico di Slowdive come con il set Olympia e Washington DIY. “Shade” è un lavoro che abbraccia la carriera, che traccia accuratamente la sua evoluzione nel corso degli anni, gestendo un percorso che affronta la musica ambient, il folk di Laurel Canyon, il grunge, il dream pop e tutto il resto.

La musica è unificata dal suo spirito unico e personificata dalla voce di Liz – un elemento onnipresente che a volte è un sussurro elastico e spettrale e altre volte un tubare a spirale. Nella traccia di apertura “Followed the ocean”, è una forza trainante assicurata, ma i suoi toni potenti sono ridotti a cenere incandescente sotto l’ustione di un rumore sovraccaricato e distorto dal nastro. Le parole sono presenti, ma indecifrabili: è come ascoltare una canzone registrata dalla radio e duplicata all’infinito per aumentare il ghosting. La nebbia si dirada su “Unclean mind”, che si rifà a “Heavy Water” con uno strimpellare grunge e gemiti angelici.

“Shade” è un buon titolo, perché l’interazione tra apertura e insularità è al centro dell’album. Di traccia in traccia è come se la nostra si stesse prima rivelando e poi ritirando sotto una coltre di sibilo del nastro. “The way her hair falls” è così pulito che potreste sentire uno spillo cadere, cogliendo ogni sfumatura nella voce di Harris. La sorpresa più grande è la traccia di chiusura dell’album “Kelso (Blue sky)”, in cui la sua voce riceve finalmente un trattamento grandioso, intrisa di riverbero, ma completamente tangibile. Il risultato è una scintillante fetta di folk acido persistente che suona separata dal tempo e dallo spazio!!!


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