GRATEFUL DEAD: “Days Between” cover albumLa scorsa Pasqua la ho trascorsa nella visione di “Long Strange Trip”, un documentario di quattro ore dedicato a tutta la storia della band californiana. Ero a conoscenza del fatto che fosse su Amazon Prime da tempo, ma me ne ero completamente dimenticato, è stato un mio caro amico a ricordarmelo, un amante dei Grateful Dead.

Ho sempre pensato che l’avventura dei nostri fosse stato un lungo viaggio in cui tutti si sentissero a proprio agio con quella che era la vita di gruppo, con le relazioni con i dipendenti e il rapporto con i ‘Deadheads’ cioè il numerosissimo seguito che i Dead avevano durante le loro Tournee, che negli anni ’80 assediavano letteralmente le città in cui suonava la band, accampandosi fuori dai concerti anche senza avere biglietti. L’ultima parte del documentario mi ha svelato, invece, l’enorme insoddisfazione di Garcia a partire dalla morte di Brent Mydland, la sua profonda infelicità nel dover continuare a far parte del gruppo quasi solamente per un senso di responsabilità nei confronti delle persone che lavoravano con loro e delle loro famiglie.

Jerry era un personaggio particolare, un genio musicale, ma leader autodistruttivo incoerente e pacifista che non voleva comandare (e che pur di non prendere decisioni creava situazioni di pericolo economico e fisico). La sua idea di arte era quella che prevedeva di cogliere il momento, non gli importava la fama imperitura, in altre parole non avrebbe mai voluto diventare un monumento, mentre l’ultimo periodo della band, senza nessun disco nuovo pubblicato, consisteva nel fatto di suonare dal vivo continuamente con lo scopo, secondo lui, di soddisfare le esigenze del carrozzone che si era creato intorno a loro.

Questa introduzione solo per arrivare a parlarvi dell’ultima memorabile canzone scritta da Jerry con Robert Hunter cioè “Days Between”, è stata forse la loro ultima collaborazione su una canzone grande e significativa, che si classifica con “Dark Star” e “Terrapin Station” come ambiziosa e intenzionalmente grandiosa. (L’altro giorno stavo parlando con un amico, del modo di suonare e di scrivere canzoni di Garcia, e mi è venuto in mente che Jerry, come pochi altri, non aveva paura della grandezza e poteva farcela con successo. Lo stesso con Hunter.)

“Days Between” è diventato un inno che ci fa ricordare Garcia in un modo particolare, e, soprattutto, i giorni tra la sua data di nascita del primo agosto e la sua data di morte il 9 agosto. È una canzone adatta a tali pensieri, con i suoi accordi grandiosi e i suoi testi carichi di nostalgia e desiderio. Il termine chiave è ‘desiderio’, desiderare di poter vedere qualcosa – vedere di nuovo qualcosa, vedere qualcosa del tutto – che qualcosa manca ai tuoi occhi e alla tua presenza. Trovo che “Days Between” appartenga a una serie di canzoni che inducono in me questa sensazione.

È stato eseguito per la prima volta il 22 febbraio 1993, all’Oakland Coliseum Arena, lo spettacolo di mezzo di una corsa di tre notti. La sera prima avevano presentato in anteprima altre tre nuove canzoni: “Eternity”, “Lazy River Road” e “Liberty”. La sua esibizione finale fu il 24 giugno 1995, allo stadio RFK di Washington, DC. Durante il suo periodo relativamente breve nel repertorio dal vivo, l’hanno suonato 41 volte, sempre nel secondo set, e abbastanza frequentemente uscendo dalla batteria. Sembrava come un oggetto spettrale che uscisse a poco a poco da una nebbia e solo lentamente si rivelasse come qualcosa di molto grande, torreggiante sopra tutto intorno. È difficile dirlo meglio di quanto fece Phil Lesh nella sua autobiografia, “Alla ricerca del suono”:

‘Dolorosamente nostalgico, “Days Between” evoca il passato. La musica esce faticosamente dalle ombre, crescendo e raggiungendo il picco a ogni verso, solo per ricadere ogni volta in una rassegnazione senza speranza. Quando Jerry canta la frase ‘quando tutto quello che volevamo / era imparare, amare e crescere’ o ‘ha dato il meglio che avevamo da dare / quanto non sapremo mai’, vengo immediatamente trasportato indietro di decenni nel tempo, in una bella mattina di primavera con Jerry, Hunter, Barbara Meier e Alan Trist, tutti noi che stuzzichiamo la pura euforia di essere vivi. Non so se piangere di gioia per la bellezza della visione o con tristezza per l’invalicabile abisso del tempo tra il passato dorato e il presente spesso doloroso’.

Con una sezione centrale costruita su uno spettacolare assolo di Jerry Garcia, “Days Between” è un commiato agrodolce, il finale perfetto di uno strano viaggio durato trent’anni e che ha avuto un impatto come pochi altri nella storia della controcultura americana!!!


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