GOD DAMN tornano con il loro terzo, eponimo album in studio dopo l’ottimo debutto dai toni dark rock “Vultures” e l’acclamato “Everything Ever”. La band ha registrato “God Damn” live nel giro di un paio di giorni assieme al leggendario produttore Sylvia Massy (System of a Down, Smashing Pumpkins, Deftones, Johnny Cash, REM, Slayer, Babes in Toyland, Tool), utilizzando persino una desueta tube station per registrare alcune parti del disco.
Il processo creativo ha visto il gruppo sperimentare con innumerevoli configurazioni di microfoni, un amplificatore in un forno Vittoriano, un pedale fuzz fatto da una lampadina, con qualcuno che muove il microfono mentre si registra live (effetto phaser umano), attaccando un tubo da giardino a un microfono per registrare la batteria, e molte altre cose eccentriche e stravaganti.
Eppure, l’album percorre nuovi sentieri anche in ambito tematico, con filo conduttore l’anno sabbatico che la band ha dovuto prendere per problemi di salute mentale, privazione del sonno e il viaggio di Thomas che ha cresciuto suo figlio autistico.
All’inizio trio, poi diventato duo, e tornata di nuovo un trio, la formazione è riuscita a crearsi una leale fanbase con il disco di debutto, supportando in tour i Foo Fighters e facendo la propria apparizione a “Reading & Leeds Festival”. Di solito il terzo disco è quello della svolta: ti viene riconosciuto il valore della discografia prodotta fino a quel momento oppure potrebbe iniziare il declino.
Il suono del combo inglese è stato improntato cercando di riprodurre la dimensione live, carico di distorsioni a palla come dimostra il primo singolo “Dreamer”. Altri temi ricorrenti riguardano la sanità mentale e l’autorità religiosa. “High Frequency Words” punta tutto su frenesie hard rock, mentre “Hi Ho Zero” che, rispetto a chi lo ha preceduto, allenta un po’ la presa e lascia respirare l’ascoltatore (nemmeno troppo però) cercando una soluzione ruvida ma allo stesso tempo non rinuncia alle melodie.
Oltre la tempesta di chitarre elettriche di “Tiny wings” e “Mirror balls”, non manca una chiusura mefistofelica con un brano di allucinante e discorde bellezza quale la psichedelica ossessiva “Satellite prongs” che va a chiudere il bel ritorno dei God Damn.


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