Esce il 30 novembre per 42 Records (I Cani, Cosmo, Colapesce Andrea Laszlo De Simone, Any Other…) il nuovo disco dei Giardini di Mirò, vera e propria leggenda della musica indipendente italiana. Un’attesa lunga per una band dalla discografia sterminata, ma che nonostante gli LP, gli EP, le colonne sonore e le sonorizzazioni di film muti, non presentava un lavoro di inediti dal lontano 2012, con “Good Luck”.
Ma ora il tempo è giunto, e “Different Times” è pronto. Ed è un ritorno in grande stile, che mantiene solidi legami con il passato ma proietta i Giardini di Mirò ulteriormente in avanti, verso un futuro luminoso e ancora da scrivere, anche grazie alla rinnovata collaborazione con Giacomo Fiorenza, lo stesso produttore con cui avevano realizzato i primi due album “Rise and Fall of Academic Drifting” e ”Punk… Not Diet!”, che da subito li avevano consacrati tra gli imprescindibili degli anni Zero.
Due anni di lavoro, la solita attenzione maniacale per i suoni, per ogni minima variazione, per ogni singolo dettaglio, il tutto finalizzato a ricreare quel mood oscillante tra post rock, psichedelia ed elettronica che da sempre rende i dischi dei Giardini di Mirò delle vere e proprie esperienze sonore, dei viaggi musicali che ogni tanto si mantengono su eccentriche forme canzoni, altre volte deragliano verso le direzioni più disparate.
Esattamente come per la title track: nove minuti in cui i Giardini di Mirò hanno voluto mostrare a tutti di essere più in forma che mai, più focalizzati che mai, sempre pronti a ipnotizzare le orecchie e ad incendiare i palchi italiani ed europei come fanno da almeno vent’anni. Ma in “Different Times” c’è molto di più, ci sono nove brani incredibilmente densi e 50 minuti di musica, ci sono collaborazioni prestigiose, come quelle con Adele Nigro di Any Other in “Don’t Lie”, Robin Proper-Sheppard dei Sophia in “Hold On”, Glen Johnson dei Piano Magic in “Failed to Chart” e Daniel O’Sullivan nella finale “Fieldnotes”, c’è una compattezza liquida che in tanti negli anni hanno provato a replicare, ma che praticamente nessuno ha saputo eguagliare.
E poi ci sono i cambiamenti di questi vent’anni, e così “Different Times” vuole essere anche una riflessione sulla durata del tempo. Senza dare particolari giudizi, solo accettandone le regole e le sue conseguenze, con lo sguardo che si muove verso altre parti del mondo, su altre centralità, mentre inevitabilmente cambiano la geografia e l’importanza delle cose.


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