FRAZEY FORD- “U Kin B The Sun”La stragrande maggioranza degli artisti, una volta trovata la propria dimensione stilistica, prosegue lungo quella strada apportando, di disco in disco, piccoli accorgimenti e leggere rifiniture. Tutto questo, di fatto, contribuisce al rifiuto di qualsiasi innovazione, che, anzi, viene percepita come un qualcosa da evitare per non uscire dalla propria comfort zone.
La cantautrice Frazey Ford è stata un esempio di quanto espresso in precedenza fin dal suo esordio del 2010, dal titolo “Obadiah”. Con il suo nuovo album dal titolo “U kin B the sun” sembra invece essere proiettata in un lavoro degli anni sessanta uscito dagli studi della Stax oppure della Hi records.
A dir il vero già con il precedente “Indian ocean” del 2014 impiegava musicisti che sono di casa a Memphis per cui non si tratta di un innamoramento dell’ultima ora, ma un percorso che la ha portata a cesellare quelle vecchie sonorità che si immergono tra soul, groove funky profumi di jazz e incanto psichedelico.
La supportano in studio musicisti che comprendono Darren Parris al basso, Leon Power alla batteria, Craig McCaul alla chitarra, Phil Cook alle tastiere e la corista Caroline Ballhorn. La cifra stilistica di tutti i suoi precedenti lavori, compresi quelli dei The Good Be Tanyas, permeata di country-folk, è bandita a favore di un rimescolamento sonoro ricco di soul e guidato dal groove del piano. Frazey è spinta e incuriosita da come organo e sei corde si intreccino in modo sensuale nel crescendo R’n’B ritmico di “Golden”, che mi riporta alla mente il repertorio di Al Green.
L’atmosfera evoca una sessione rootsy in Muscle Shoals come per esempio nella fumante title track, avvolgente soul psichedelico, mentre lo splendido soul sudista di “The kids are having none of it” assume i contorni di una canzone di protesta. La magnifica “U and me” si veste del miglior country-soul così che l’ascoltatore si senta a metà strada tra una bollente Memphis e i paesaggi verdi fuori Nashville.
Vocalmente la Ford non può definirsi dotata della potenza spumeggiante di tante “soul Queen”, ma è più vicina a figure di culto quali Irma Thomas oppure Ann Peebles. Eppure è capace di stamparci in faccia un pezzo come “Let’s start again” dall’irresistibile intensità grazie alla combinazione di uno storyteller che incontra un “blue-eyed soul singer”. C’è freschezza come nella dinamica e solare “Azad”, commistione tra pop e funky, mentre “Holdin’it down” sa cavalcare un morbido gospel jazz.
Su tutte una grandiosa “Motherfucker” in cui si materializza tutto il malessere in un ipnotico blues.
Il lavoro è stato registrato agli Afterlife Studios di Vancouver con John Raham e si è cercato di mantenere sonorità semplici senza troppi artifici, puntando sull’immediatezza. Questo nuovo approccio, sia in fase produttiva che in termini di scrittura, ha condotto ad una esplorazione nuova ed appagante!!!


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