Emma Tricca tradisce origini italiane, ed è proprio italiana, anche se vive da diversi anni a Londra per seguire le orme della sua musica. Non ha iniziato la carriera discografica nella capitale inglese, infatti frequentava il Folkstudio e ricevette parole di elogio da parte di personaggi quali John Renbourn e Odetta.
Il suo amore per il folk la costrinse ad abbandonare il suo focolare per spostarsi in un luogo dove le sue passioni avevano avuto origine.
Fu così che divenne una delle voci più interessanti del nuovo cantautorato folk, il tutto testimoniato da due lavori come “Minor white” del 2009 e “Relic” del 2014 ed è solo oggi che abbiamo tra le mani l’atteso nuovo album dal titolo “St. Peter” che, senza tema di smentita, è il suo disco più bello.
Registrato a cavallo tra Roma, Londra e New York, St. Peter è l’album più ambizioso ad oggi concepito dalla folk singer italiana di stanza in Inghilterra. Un disco dai risvolti chiaramente internazionali, che esalta le sue doti interpretative e compositive, rovistando tra i suoi trascorsi musicali recenti e passati. Il cast dei partecipanti è di primissimo livello: dallo storico batterista dei Sonic Youth Steve Shelley al bassista Pete Calub, passando per un’altra colonna come Jason Victor dei Dream Syndicate ed altre comparse eccellenti come Howe Gelb, Astrud Steehouder (Paper Dollhouse) e l’icona folk Judy Collins.
L’idea che sta alla base dell’opera è quella di mischiare il folk tradizionale con la componente psichedelica ed onirica che riesce ad infondere un carattere personale ed unico per cui ne esce un prodotto musicalmente più ricco. Ne sono testimoni “Buildings in millions” dai toni incendiari con una coltre di psichedelia elettroacustica, oppure “Solomon said” una jam strumentale su cui si staglia la voce di Judy Collins che declama parti della sua composizione “Albatross” oppure ancora “So here it goes” di matrice sixties con un cantato folk, ma riverberato e una coda strumentale caratterizzata dal feedback.
Un disco dal fascino assoluto.


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