ED O’BRIEN- “Earth”I Radiohead sono stati insigniti dalla critica di un ruolo e di una importanza che va ben oltre i meriti artistici. Sicuramente hanno pubblicato dei bei dischi, ma ritengo che dopo “Amnesiac” non siano più andati oltre nella ricerca. Forse ci sono stati approfondimenti sotto l’aspetto ritmico, ma poco altro. Sono conscio che questa mia introduzione possa infastidire parecchi, ma è quello che penso e ho creduto di doverlo comunicare.

Si intitola “Earth” il primo album da solista di Ed O’Brien, chitarrista dei Radiohead. Il musicista, anche se non famoso quanto i colleghi Thom Yorke e Jonny Greenwood, è comunque uno storico membro del gruppo, e le sue produzioni non risultano quindi meno riuscite delle aspettative. L’album, pubblicato il 17 aprile, contiene nove tracce inedite. Di queste, ne sono precedentemente state pubblicate quattro come singoli, il primo dei quali è uscito a dicembre 2019.

Nel disco vengono ospitati diversi nomi eccellenti. Tra questi: Laura Marling, Colin Greenwood (bassista dei Radiohead), il chitarrista dei Portishead, Adrian Utley, e il batterista dei Wilco, Glenn Kotche. È così giunto anche il momento di Ed di farci ascoltare qualcosa da solista. Nell’immaginario collettivo il contraltare di Yorke è sempre stato visto nella figura di Jonny Greenwood, da tempo impegnato nell’ universo delle colonne sonore e della musica sperimentale e persino il batterista Phil Selway si fece ascoltare da solista con un paio di uscite in ambito folk-pop. La svolta artistica impressa dal gruppo di Oxford con la pubblicazione di “Kid A” aveva relegato la figura di O’Brien in secondo piano, laddove fino a “Ok Computer” la sua chitarra faceva egregiamente la propria parte, sia in studio sia soprattutto negli infuocati live.

L’annuncio di un nuovo album era stato dato diverso tempo fa e nel frattempo O’Brien, già all’uscita dei primi singoli, aveva lasciato intendere che ci saremmo trovati dinnanzi a un lavoro estremamente composito e particolare. Il disco è composto da nove tracce e fin dal singolo “Shangri-la” (che apre la scaletta) ci accorgiamo che sia un lavoro di difficile collocazione. C’è del rock, finalmente verrebbe da dire, ci sono delle suggestioni wave ed elettroniche, ci sono inevitabili echi del gruppo madre (proprio nella canzone posta in apertura), e ritmi che, come in un ottovolante, si fanno cangianti sapendo rallentare al bisogno ma anche graffiare e pulsare fortissimo (prova ne è l’incalzante “Olympik”). A mio modo di vedere c’è un pezzo che svetta sul tutto. Si intitola “Brasil”, inizia come una ballata acustica che richiama alla mente il grande Nick Drake, per poi prendere quota e trasportarci lontano. Sembra quasi che siano più brani in uno solo, ma non danno un effetto di stranezza all’ascolto.

“Mess” ricorda un po’ le cose del gruppo madre con quel muoversi ad ondate, mentre con la successiva “Banksters” Ed conferma di non aver smarrito la vena graffiante, con le chitarre che ruggiscono e i toni cupi e affilati che sgorgano a piene mani dalla sua sei corde. “Sail On” giunge calma come un momento che preannuncia un cambio emotivo. Siamo infatti giunti alla fine dell’ascolto e il congedo è affidato a “Cloak of the Night”, una ballata a due voci intensa ma eterea allo stesso tempo che vede il contributo della cantautrice Laura Marling, suo spirito affine.

Ed O’Brien ci consegna un’opera sincera, quella di un musicista forse un po’ stanco delle dinamiche di gruppo che lo vedevano leggermente tagliato fuori dalle scelte artistiche, non originale, ma sicuramente apprezzabile e personale!!!


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