“American Love Call”, secondo album di Durand Jones & The Indications, è la conferma del ruolo di protagonisti della band di Bloomington, Indiana, nella scena soul contemporanea.
La band è formata dal cantante Durand Jones e dai musicisti Aaron Frazer (batteria e voce), Blake Rhein (chitarra), Kyle Houpt (basso) e Steve Okonski (tastiere), gli Indications hanno pubblicato il loro omonimo esordio per la giovane ma attivissima Colemine Records, già considerato un vero e proprio marchio di garanzia per il soul contemporaneo. L’esordio è diventato velocemente un instant classic grazie alla potenza dei live della band e al passaparola generato dai commessi dei principali negozi di dischi americani, tanto da essere ristampato dopo solo un anno e distribuito nuovamente dall’attenta Dead Oceans.
Il nuovo ‘American Love Call’ è stato registrato durante l’estate del 2018 presso lo Studio G di Brooklyn, New York. Lo stile di Durand Jones & The Indications si nutre non solo di soul ma anche di R&B, gospel, folk rock, e musica classica. Tenendo presente che, durante lo scorso Black Friday, uscì un live dal titolo “Live vol. 1”, in un anno circa sono tre i lavori con cui la formazione dell’Indiana, ma Durand è nato e cresciuto in Louisiana, ha inondato il mercato. Bisogna però dire che non si tratta di album fatti con lo stampino. Se l’esordio è un disco di torrido deep soul con la voce di Jones che richiama i classici del genere, la nuova uscita si distacca dalla componente southern per abbracciare uno spettro della musica nera di più ampio raggio. A volte sembra che il modello vocale del nostro sia più un Curtis Mayfield, capace di tagliarci in due con il suo falsetto strepitoso. Si occhieggia anche al Philly sound in special modo nel brano “How can i be sure “.
Probabilmente per i duri e puri il primo ed omonimo disco resta insuperato, per me la nuova fatica riesce a far risaltare maggiormente la capacità di scrittura del leader mentre la produzione è stata abile ad utilizzare arrangiamenti in grado di andare incontro ad un pubblico più vasto che magari non è neanche in grado di capire che tipo di musica stia ascoltando. Del resto la black music è sempre andata oltre le barriere di genere, molto di più di quanto fatto dal rock.
Le melodie e le armonie vocali scivolano languide e morbide come la seta, brani come “Morning in America” risultano essere una riflessione sulle condizioni del loro paese oggi e musicalmente richiamano Gil Scott-Heron, mentre “I don’t you know” è l’esempio tipico del cambiamento dei nostri, ispirato dagli Impressions e dai Delfonics che risulta morbido e dolce con grande ricchezza orchestrale.
Parafrasando Peter Guralnick, è proprio un bel disco di sweet soul music!!!


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