CLAP YOUR HANDS SAY YEAH: “New Fragility” cover albumI Clap Your Hands Say Yeah, la perfetta creatura indie-rock creata e guidata dal talentuoso Alec Ounsworth, ai tempi del loro omonimo esordio del 2005 hanno rappresentato lo standard da seguire in termini di sound, etica DIY e lavoro per centinaia di band indipendenti.

Il loro primo album fu un caso discografico autoprodotto che fece innamorare di un nuovo sound centinaia di migliaia di fan in tutto il mondo. Ora a 15 anni di distanza dal loro esordio Alec e i CYHSY tornano con un nuovo album, il migliore dai tempi dell’immortale esordio.

Il titolo del nuovo album, “New Fragility”, è stato ispirato dalla lettura del racconto “Per sempre lassù” di David Foster Wallace (parte dell’antologia “Brevi interviste con uomini schifosi”) ed è stato prodotto da Alec stesso con l’aiuto di Will Johnson (noto per i suoi lavori con Jason Molina e Conor Oberst dei Bright Eyes) e Britton Beisenherz a Austin, Texas.

‘Queste canzoni sono politicamente motivate, che non è insolito per me. In passato avevo scritto “Upon This Tidal Wave of Young Blood” a proposito del fallimento della democrazia americana. Il nuovo brano “Hesitating Nation” trasmette il mio disappunto con la mentalità di andare sempre avanti a tutti i costi, senza pensare a chi rimane indietro. Invece “Thousand Oaks” parla della sparatoria omonima, in California, del 2018, in cui morirono 13 persone, e dell’impotenza del governo americano di fronte a certe tragedie’. “New Fragility” arriva a 3 anni di distanza da “The Tourist” e ben 15 dal disco d’esordio, album che fece diventare i Clap Your Hands And Say Yeah una delle band di punta della scena indie-rock dei primi anni 2000.

Alec si trova ad emergere dal trauma del divorzio e della depressione per rilevamento di un’America che non capisce più. ‘Penso che sia probabilmente importante perdersi un po’ nei boschi prima di uscire di nuovo’ spiega il nostro delle dolorose conseguenze in cui ha scritto “New Fragility”. È perfetto, perché quel periodo perduto ha prodotto un album considerato, espansivamente realizzato che è tra i migliori che abbia mai realizzato’.

A volte, gli organi vorticosi, le chitarre americana squillanti e i ritmi di guida evocano il tipo di rock di buon gusto e widescreen orientato agli adulti alla The War On Drugs; altrove, il tenore è molto più sparso e catartico mentre affronta sia il dolore personale che un senso di esasperazione per la caduta libera della sua nazione nella polarizzazione politica. È in quei momenti più teneri e seri che questo album colpisce davvero al cuore. È a lunga distanza dall’eccentrico fascino indie-disco del debutto di CYHSY, ancora di gran lunga il loro LP più celebrato, eppure liquidato come ‘non il mio preferito’ dall’autore.

L’album è stato preceduto dalla doppia versione lato A di “Hesitating Nation” e “Thousand Oaks”, le prime due tracce qui. La prima è una processione implacabile di ricordi e ruminazioni, consegnato su un lavoro di chitarra sobrio e riflessivo. Ounsworth ottiene le domande difficili all’aperto presto mentre chiede: ‘Chi siamo noi per andare a fare grandi piani?/ Sposati con la febbre, bambini in preda al panico’. Il senso di rimorso è palpabile.

 

Il rovescio della medaglia, “Thousand Oaks”, è la canzone meno personale del disco, che affronta non il crepacuore di Alec, ma la spirale di morti per armi da fuoco negli Stati Uniti. Ispirata da un’intervista a Susan Orfanos, il cui figlio Telemachus è stato ucciso nella sparatoria borderline del 2018, è solo la seconda canzone apertamente politica nel catalogo della band dopo la critica di guerra in Iraq, “Upon This Tidal Wave Of Young Blood” dal loro album di debutto. È brillantemente anthemico con un ritmo chugging, trilli di chiamata e risposta e un superbo coro classic-rock che punta il cappello a Bruce Springsteen.

Dopo quell’apertura enfatica, la struttura sonora diventa più parsimoniosa, l’umore più contemplativo. Il lento Valzer “Dee, Forgiven”, tutti pesanti strum acustici e ornamenti armonici fumosi, è una bella fetta di poesia anelante e triste, il nostro che suona contuso e malconcio, ‘respirando al mattino con lo sguardo di legno della cocaina’, usando la sua chitarra come strumento per evocare atmosfere spettrali.

Queste sono canzoni con orizzonti più grandi di qualsiasi altra cosa abbia mai scritto prima. Un quartetto d’archi appare per la prima volta nel triste ed elegante prequel della title track, “Innocent Weight”. È una delle cose più compiute a cui il cantautore nato a Filadelfia abbia mai dato il suo nome, ed è anche sede dell’assolo più affascinante del disco, una sfrigolante che pullula costantemente sul punto di ribollire nel feedback. La ricerca dell’anima raggiunge un picco sul confessionale di chiusura della pianistica “If I Were More Like Jesus”, ricca di intemperie e ricoperta di distorsione. Ma è evidente che il tempo trascorso perso nel bosco è servito al creatore di Clap Your Hands Say Yeah e all’ultimo sopravvissuto. Ovviamente ha sofferto negli ultimi tre anni, ma le cicatrici lasciate da quelle esperienze lo hanno aiutato a rendere il suo lavoro più emotivamente maturo!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *