La storia della musica rock è piena di fratelli che non si sopportavano al punto di rendere difficoltosa l’attività della band stessa. Per citarne alcuni potrei dirvi dei fratelli Davies dei Kinks, oppure dei Gallagher degli Oasis passando di fatto tra grandezza e mediocrità. Tra le formazioni che erano in difficoltà per colpa di fratelli non possiamo non menzionare quella dei Black Crowes. I Corvi Neri devono sentitamente ringraziare la presenza di Marc Ford all’inizio dell’attività e poi Luther Dickinson nella seconda metà degli anni zero, grazie alla loro presenza abbiamo potuto godere di ottimi dischi in cui i problemi interni non venivano a galla.
Nel 2011 la formazione dei fratelli Robinson si è sciolta definitivamente e si sono formati due gruppi i Magpie Salute, con il chitarrista come leader e che rimane legato al suono che lo ha reso famoso, e i Brotherhood con il cantante Chris che divide la leadership con il chitarrista Neal Casal capaci di miscelare rock, country e psichedelia in modo creativo.
Negli ultimi album i nostri avevano cominciato a far prevalere l’uso delle tastiere sulle sei corde e ne erano usciti lavori un po’ fuori registro. “Servants of the sun” riporta le chitarre in primo piano, ma, soprattutto, migliora di gran lunga la scrittura che vede i Brotherhood proporre una riuscita e convincente miscela di Grateful Dead, Byrds, Flying Burrito Brothers e qualcosa dei vecchi e indimenticati Black Crowes.
L’inizio è rappresentato da “Some Earthly Delights” ballata che si muove lungo un percorso a metà fra psichedelia e folk, con la musica che si distende tranquilla. “Let it fall” ha un andamento più veloce con dosi di black music senza particolari voli pindarici. “Rare birds” presenta una buona piacevolezza di ascolto, ma non si eleva per particolari caratteristiche, né di scrittura né di arrangiamento.
Il gruppo ha notevoli abilità tecniche in grado di rendere un brano come “Venus in chrome” una frizzante e solare canzone di stampo westcoastiano, oppure di combinare le radici sudiste con le buone vibrazioni californiane nel pezzo “Comin’ Around the Mountain” in cui si assiste ad un assolo di Casal ai suoi massimi livelli. Forse si tratta di un disco che vuole far rivivere la grande stagione degli anni settanta, quella del rock improvvisato e che risulta essere di gran lunga migliore se suonato dal vivo, in cui tastiere e chitarre, con il loro continuo rincorrersi, caratterizzavano il sound.
Il lavoro sembra un work in progress, per cui sarebbe lecito attendersi i risultati al prossimo giro!!!


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