Il saxofonista Chris Potter divenne uno dei più rispettati strumentisti degli anni ’90 ed inizio 2000, sia come leader sia come session man in numerose e importanti formazioni. Si formò come pianista, poi dall’età di dieci anni si dedicò al sax alto. inizialmente ispirato da Paul Desmond e Johnny Hodges, per poi approdare al tenore soprano, al clarinetto basso e persino al flauto. Cominciò ad agire professionalmente fin dalla tenera età di tredici anni. A compimento dei diciotto si trasferì a New York approdando alla Manhattan School of Music per poi entrare nel gruppo del leggendario trombettista Red Rodney con cui suonò fino alla morte del leader nel 1994. Da quel momento cominciò a produrre in proprio un numero rilevante di dischi per varie etichette, come la Criss Cross, la Concord, (che confluì successivamente nel Verve Music Group) per approdare con gli ultimi tre album all’ECM. La sua carriera subì uno stop a metà anni ’90 quando gli fu diagnosticata la sindrome di Ménière che provoca ricorrenti attacchi di sordità ed altri gravi e fastidiosi sintomi. Fortunatamente questa menomazione non gli impedì di proseguire la sua attività che continuò a rimanere copiosa, sia come leader che come sideman, fra le altre le collaborazioni con Dave Holland, Dave Douglas, Paul Motian e Jim Hall.
La sua nuova fatica è uscita lo scorso aprile e presenta un nuovo quartetto acustico che mescola melodie rapsodiche e ritmiche sostenute. I nuovi musicisti sono di altissimo livello David Virelles al piano, il bassista Joe Martin ed il batterista Marcus Gilmore che brillano assieme al leader che si fa in quattro tra il tenore, il soprano e il clarinetto basso. Il suo maggior pregio è quello di utilizzare la sua notevole tecnica al servizio della musica piuttosto che dell’effetto per compiacere il pubblico. Si tratta di un album in cui è molto sviluppata la ricerca di tessiture ed atmosfere. Pur avendo dimostrato in passato di poter suonare partiture complesse in questa sua nuova fatica si assiste ad un ritorno alla semplicità, evidente fin dalla ballata iniziale “Heart In Hand’ in cui si cimenta al tenore. Il pezzo che dà titolo all’album parte con una meditazione al clarinetto basso che viene poi raggiunto dal pianoforte e piano piano dagli altri strumenti, in modo da portare il contrabbasso ad un lirico e lungo assolo che poi si quieta nel finale per lasciare spazio al tenore a cui spetta il compito di chiudere il brano. E’ ‘Memory And Desire’ che offre le più grandi sorprese, un incipit di ancestrali crepitii ci conduce a reminiscenze ‘shorteriane’, sia a livello compositivo che di suono. Una nota di merito va al pianista David Virelles che impressiona sia nei raddoppi al sax che si succedono frequenti, sia a suonare accordi duri e dissonanti come in ‘Yasodhara’.
Un disco da assaporare, in cui perdersi, che testimonia una grande introspezione ed una sonorità intima e calda.

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