Mi ero preparato ben bene ascoltandolo per un intero pomeriggio alcune settimane fa, poi, non so come, mi è un attimo sparito dal radar e solo oggi lo riprendo in mano per segnalarvelo con una recensione.
Si tratta del nuovo lavoro di Chris Forsyth, musicista già da parecchi anni sulla scena, prima come membro o collaboratore di alcune band quali Phantom Limb e Peeesseye, poi come solista e leader della Solar Motel Band. Per questa uscita si fa accompagnare da Peter Kerlin al basso, Ryan Jewell alla batteria e dal compagno di quasi tutte le sue esperienze musicali Shawn Edward Hansen alle tastiere, ma il disco è accreditato al solo Chris, perché afferma che si tratta di un album diverso dai precedenti degli ultimi cinque anni, maggiormente di “studio” e leggermente più sperimentale.
Il nostro resta, comunque, il più dotato musicista di quel modo di fare musica chitarrocentrica che annovera tra i suoi predecessori nomi importanti quali Dream Syndicate, Television, Neil Young e Quicksilver Messenger Service. Le strutture musicali sono costruite con pazienza artigianale attraverso arguti intarsi chitarristici, con la sicura veste ritmica imbastita da basso e batteria.
L’apertura “Tomorrow might as well be today” è puro Television sound a cui il mellotron fa assumere una forma di pop agreste. “Mystic mountain” richiama alla mente i migliori Dream Syndicate periodo “The medicine show” causa presenza delle tastiere. Si tratta anche di uno dei rari momenti in cui fa la sua comparsa una voce, che secondo alcuni risulta essere una mancanza ed un limite quella di risultare nella maggioranza dei casi solo strumentale. Ovviamente non la pensa allo stesso modo Forsyth che ribadisce che scrive testi e canta solo nel momento in cui la canzone lo richiede.
In alcuni brani questa mancanza risulta meno marcata, forse perché le atmosfere sono alquanto cinematografiche, come nel pezzo “The man who knows too much” un ambient per chitarra acustica e synth e drum machine suonate da Jeff Zeigler che ci porta a pensare a Morricone, oppure in “Past ain’t passed” che dipinge paesaggi desertici che non possono non ricordare il Ry Cooder dello straordinario “Paris Texas”. La cinematografia ha avuto un ruolo agli inizi deli anni ’00 nella vita del nostro per cui è normale che tali tracce risultino alle orecchie degli ascoltatori come colonne sonore di film immaginari.
Il brano che si erge a maggior novità è “(Livin’on) Cubist time”, un lungo duetto tra le chitarre di Chris e le sognanti e strane tastiere di Hansen. Una composizione di liquida psichedelia che ricorda la musica cosmica tedesca degli anni settanta, in cui confluiscono gli Harmonia, Terry Riley, Tangerine Dream e il grande Jon Hassell. Il capolavoro dell’album risulta però essere “Techno pop”, una ventina di minuti che miscelano un’introduzione alla “Marquee Moon”, un giro di basso in levare mentre chitarra e batteria pompano un groove funk-rock da paura. All’interno di queste sonorità è un piacere riconoscere tanti passaggi musicali, dal country al motorik tedesco, dal l’isterismo Talking Heads alla blaxploitation, dalla techno alla musica da stadio.
La composizione è nata dall’idea di tenere da parte le esigenze del guitar hero per focalizzarsi sul ritmo, il timbro, la dinamica e la durata.
In definitiva una delle uscite più interessanti dall’inizio dell’anno ad oggi. Chris Forsyth è poco conosciuto in Italia, facciamo in modo di farlo uscire dalla nicchia in cui è rinchiuso!!!


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