BUCK CURRAN- “No Love Is Sorrow”Il suo nome iniziò a farsi conoscere intorno alla metà degli anni ’00 fino alla prima parte dei successivi anni ’10 nel gruppo degli Arborea, duo che contava della presenza di Shanti Deschaine alla voce. Proponevano una musica evocativa che creava atmosfere in bilico tra antico folk e psichedelia. Con l’inizio della carriera in proprio, Buck, che è pure un discografico, produttore, pittore e compositore, solo quando si trova con la chitarra in mano riesce ad esprimere il meglio di sé, rendendo l’arte qualcosa di magico. Per lui la sei corde può essere una singola voce oppure una piccola orchestra.

Buck ora vive a Bergamo e, durante la fase acuta del COVID19, si è trovato da solo confinato nella propria abitazione, senza alcuna forma di reddito. Nell’intervista concessa a Pitchfork ha dipinto con parole precise la tragica situazione legata all’emergenza COVID-19, il terrore legato al vivere in una Bergamo intrappolata nell’incubo della pandemia, con tutte le incertezze e lo sgomento che la situazione si porta dietro. In questo scenario di totale precarietà, l’arte resta il veicolo privilegiato per esorcizzare, riflettere, confortare, dotare il mondo di nuovi significati e rivestirlo di una nuova bellezza, anche quando la realtà vorrebbe suggerire tutt’altro.

È in questa situazione che è nato “No love is sorrow” che in un certo senso sviluppa le intuizioni e le sensazioni che stavano alla base del progetto Alborea. Ci si distacca dal precedete “Morning haikus, Afternoon rags”, c’è un ritrovato interesse della voce (la sua e quella di Adele Pappalardo, talvolta impegnate nello stesso brano) e quindi in un recuperato senso di una scrittura più ‘convenzionale’, applicata a un linguaggio composto e pensoso, denso nuovamente di serpeggianti venature psichedeliche.

Si evocano le meravigliose ballate che erano lo splendore dei dischi di Richard & Linda Thompson, Richard & Mimi Farina. In realtà l’album prende inizio con un pezzo, “Blue raga”, che avrebbe potuto benissimo essere contenuto in quello precedente, una improvvisazione per sei corde e tabla (suonata da Dipak Kumar Chakraborty), oppure in uno di Robbie Basho. Già la successiva “Ghost on the hill” mette in mostra un cantautore ed un chitarrista difficile da trovare, in grado come pochi di creare composizioni con pochi tocchi alla sei corde, in modo che il brano respiri e poi vibrare qualche pennellata elettrica e i toni profondi ed elegiaci di una voce che giunge direttamente dall’anima. Lunghe contemplazioni, cariche di mistero (la title track, che intercetta le perlustrazioni cosmiche di Ben Chasny e Ben Nash) si alternano a commossi passi a due, toccati da un amore che supera ogni barriera (le distanti chiose di “Deep In The Lovin’ Arms Of My Babe”, la struttura a mantra di “Odissea”) e da stregate composizioni per sola chitarra, in cui affiora tutta la perizia di Curran (“For Adele”, lenta elegia dedicata alla moglie).

Poco resta da aggiungere se non che il lavoro, pur non un capolavoro, è l’album più toccante e maturo di questo musicista che, a discapito delle condizioni in cui è stato pubblicato, possiede una forza espressiva in grado di portarlo lontano!!!


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