JIM WHITE & MARISA ANDERSON- “The Quickening”“The Quickening” è il primo album collaborativo tra il batterista Jim White (Venom P Stinger, Dirty Three e Xylouris White) e la chitarrista folk blues Marisa Anderson. Un lavoro di trame folk improvvisate guidato dall’intuizione emotiva, dieci affascinanti episodi nei quali l’empatia tra i due emerge con grande eleganza. Un disco in cui al duo sembra interessare solo di padroneggiare il proprio strumento e la propria musica e null’altro. Il tutto nasce, con ogni probabilità, dopo una amichevole chiaccherata a bordo palco durante il tour condiviso del 2015, anche se occorrono altri tre anni per cui dalla teoria si passi alla pratica. Prima un incontro a Portland in uno studio dove comprendono le caratteristiche in comune che li porta a Città del Messico, negli Estudios Noviembres, per dare inizio alle sessions di registrazione.

Alcune volte le collaborazioni arrivano come una vera e propria epifania. Basta uno sguardo, un gesto, e si riesce a comunicare in modo del tutto empatico con l’altro e a seguire telepaticamente le infinite direzioni che si aprono di continuo. Non è che succeda sempre, anzi, ma ogni tanto accade, come in quest’occasione. Non ho idea se sia dovuto alle atmosfere anni ’70 dello studio di registrazione, al sapore forte e secco della Tequila, ma i due si ritrovano per la prima volta a suonare liberamente, improvvisano su tematiche country folk con un senso dell’interplay molto poetico, capace di calibrare la varietà espressiva rifinendola con uno spessore appagante.

White si muove con estro tra i vari tamburi, Marisa estrapola note dolenti di country blues alla sua sei corde, che sembrano sia arcaiche come quelle di Charlie Patton, sia moderne quanto potrebbe essere una jam dei Sonic Youth. Tra i dieci pezzi del disco il sapore della frontiera è forte, le tensioni si dilatano per poi rincorrersi su trame più intense e distendersi ancora. Un movimento quasi organico mosso dal puro istinto emotivo che fa cambiare le consistenze con la rifrazione della luce: i brani acquistano corporeità e poi la disperdono, trovano ristoro nel calore e aguzzano appena i nervi nell’ombrosità, pur sempre con un leggero tiro disorientante che affascina. Si sono abbandonati all’ispirazione del momento, nessun ragionamento riguardo tecniche, stili e spartiti.

Jim per l’occasione rispolvera il tocco con gli sperimentalismi dei suoi primordiali Tren Brothers e la Anderson “disorganizza” il suo stile aprendolo alla continua sollecitazione simbiotica. Così le partiture si raggrumano in intense tessiture free (“Gathering”, ”The Quickening”), ci sono funerei folk come “Unwritten”, atmosfere bluesate in grado di ipnotizzare quali “The lucky”, cerebrali inni gospel (“The other Christmas song”), marce militaresche elettriche come “The last days”.

Quando un album riesce a essere tanto riconciliante quanto così psicologicamente stimolante, allora ci si trova davanti a un percorso gratificante che si ha davvero piacere a intraprendere più volte. Una delle esperienze d’ascolto più interessanti di quest’anno maledetto!!!


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