BRIGHT EYES- “Down In The Weeds Where The World Once Was” cover albumDopo nove anni Conor Oberst, Mike Magis e Nathaniel Walcott resuscitano il marchio Bright Eyes con un disco rinforzato da una stellare sezione ritmica composta da Flea dei Red Hot Chili Peppers al basso e da Jon Theodore (Mars Volta, Queens of the Stone Age) alla batteria.

Il trio resuscita dalle proprie ceneri come una fenice e, dopo l’ultimo lavoro discografico, “The People’s Key”, è arrivata finalmente l’esigenza di un nuovo disco che prende il nome di “Down in the Weeds, Where the World Once Was”. Progettato dal 2017, la nuova opera ha visto la luce lo scorso 21 agosto.

Dopo questa lunga pausa dai Bright Eyes, i tre componenti hanno avuto modo di dedicarsi ad altro, ma la nostalgia di ritornare alle origini ha dominato sopra ogni altro progetto al di fuori della band: questo lavoro è stato un vero e proprio regalo sia per noi fan del trio che per la band stessa.

L’album è un’opera completa, nel senso che sembra racchiudere tutto ciò che c’è stato in precedenza – o quasi-: tratti sinfonici e orchestrali si incontrano perfettamente con la voce intimista e dalle influenze più folk di Oberst. La raccolta mette in mostra il solito forte contrasto tra vecchie e sofferenti problematiche e i sentimenti dell’amicizia, tra l’amore duraturo e privo di contrasti e il dolore più lacerante e profondo, che musicalmente viene espresso mediante le liriche e gli arrangiamenti. L’azione cantautorale, nonostante qualche ‘presenza’ (“Pan and Broom”) che gioca con improvvisazioni e innovazioni grazie ai synth, conserva il ruolo principale dell’album, il quale viene tenuto in piedi in maniera schietta e decisa da Conor e soci.

Il lavoro discografico, oltre ad essere incisivo, pulito, originale, teatrale e a tratti malinconico-nostalgico (“To Death’s Heart”, traccia che sembra un dialogo tra due amanti) trascina l’ascoltatore e lo spettatore (“Stairwell Song” e “Dance and Sing”) sul palcoscenico dove si esibiscono i nostri: la voce diventa sempre più suggestiva ed incalzante, così come le armonie melodiose che lo accompagnano.

Si tratta di un album nostalgico e dolce (“Hot Car in the Sun”) di cui tutti avevamo bisogno, del resto gli elementi sinfonici, teatrali e folkloristici dei Bright Eyes mancavano a tanti, band compresa.

“Down In The Weeds Where The World Once Was” è un album immediato e urgente che si avventura in coraggiose sperimentazioni e che rinnova lo stile di una delle band più amate del panorama indie americano tra interludi strumentali, fiati jazzati (“Mariana Trench”), epiche orchestrazioni, le sonorità gioiose e il coro gospel di “Forced Convalescence” e l’incedere quasi funereo di “Persona Non Grata”, mentre “Pan And Broom” conquista fin dal primo ascolto lo status di piccolo capolavoro pop.

Gli appassionati dell’indie rock della metà degli anni 2000 riconosceranno il lavoro di un cantautore dotato di gran talento!!!


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