BOBBY RUSH: “Rawer Than Raw” cover albumIl titolo “Rawer Than Raw” è un cenno a come questo album del 2020 sia più crudo di “Raw”, il disco del 2007 che ha visto Bobby Rush dedicarsi al blues acustico per la prima volta nella sua lunga carriera. Fin dalla sua uscita, Rush è tornato occasionalmente a impostazioni così ridotte, quindi “Rawer Than Raw” non sembra la partenza del suo predecessore, ma rimane un ascolto stimolante. Udito Bobby suonare solo con una chitarra o due è un’esperienza diversa dalle sue corpose riviste soul-blues.

Il disco del 2007, che fu l’iniziale incursione acustica di Bobby, era un set completamente originale, questo nuovo lavoro mescola le canzoni del nostro (alcune riprese da dischi precedenti, elettrici) con alcune delle sue influenze, tutte tratte dalla tradizione del Delta del Mississippi.

Bobby Rush è stato incoronato ‘Re del Circuito di Chitlin’ per la sua dinamica consegna di soul, blues, R&B, funk e gospel. Per la sua ultima uscita, “Rawer Than Raw”, è tornato alle origini. Ma questo non significa che sia meno dinamico. Anche spogliato dei soliti strumenti e di una band di accompagnamento, Rush offre un risultato coinvolgente e sincero con mani, bocca e piedi, suonando la chitarra acustica e l’arpa e le sue scarpe che battono le percussioni.

Bobby ha selezionato canzoni che lo hanno commosso e influenzato nel corso degli anni. Ha rielaborato e ribattezzato “Hard Time Killin’ Floor Blues” di Skip James come “Hard Times”, rendendolo ancora più cupo e più percussivo dell’originale. Rush pensava a James come a una figura paterna, ma Howlin ‘Wolf era il suo bluesman ideale da seguire per fare le cose in modo personale, indipendentemente da ciò che pensavano gli altri. Fa risorgere il duro e ululante “Smokestack Lightning” come meglio sa fare un uomo che non è in possesso del ringhio ultraterreno di Wolf. Ci ripropone pure “Shake It for Me”, sempre di Howlin’ Wolf, riscattandosi con una ripresa che è più limitata rispetto alla consegna selvaggia e lanosa del ‘Lupo’ sull’originale, ma ha ancora un sacco di potenza e ampollosità. È un pezzo che può includere nei suoi set elettrici come un numero acustico, che non farà diminuire l’energia dello spettacolo dal vivo.

Muddy Waters ottiene la propria gratificazione in “Honey Bee, Sail On”, con la versione del nostro un po’ più cruda della planata elettrica di Waters sull’originale. Senza il beneficio dell’elettricità, “Dust My Broom” di Elmore James viene riproposta in modalità turbolenta e rauca quanto il classico di James.

“Down in Mississippi,” non è il brano di JB Lenoir interpretato da Ry Cooder in “Crossroads” del 1986 e Mavis Staples in “We’ll Never Turn Back” del 2007, ma un originale di Rush attribuito al suo vero nome, Emmett Ellis Jr. Il suo diario di viaggio è un racconto sul vagabondare lungo Beale Street, sballarsi come un pino della Georgia al chiaro di luna.

Che altro aggiungere se non che siamo al cospetto di un disco che si segnala come uno dei migliori dell’anno nella sezione blues acustico!!!


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