BLOOD QUARTET – ‘ROOT 7’ cover albumPioniere della no wave newyorkese con i gruppi Mars e Don King, Mark Cunningham fa parte dell’underground musicale di Barcellona da quasi 30 anni, esibendosi da solista, con i suoi gruppi Raeo, Convolution, Aleatory Grammar e Bèstia Ferida, come membro della Bel Canto Orchestra e Superelvis di Pascal Comelade, e in innumerevoli collaborazioni locali e internazionali.

Il Blood Quartet si è formato all’inizio del 2015 a Barcellona da una fortuita collaborazione tra Cunningham e il trio rock underground catalano Murnau B.

Un’eccezionale chicca musicale che parte dalla base strumentale del moderno quartetto jazz e la porta nel territorio della sperimentazione e dell’elettronica. Blood Quartet suona più luminoso e ritmico che mai, tuffandosi in un terreno inesplorato.

Ciò si traduce in un’eccezionale gamma di generi che giocano con la forma tra il classico e il contemporaneo, e che estendono lo spettro creativo della band verso nuovi stili, come il krautrock e la musica nordafricana. Risulta però difficile che posa essere apprezzato dai jazzisti, per gli amanti delle sonorità oscure risulta troppo sbilanciato verso il jazz, per cui è indirizzato a coloro che non si fanno ingabbiare in generi e stili.

Il risultato di questo processo ha dato vita a nove temi, ciascuno battezzato con il titolo di un’opera letteraria da alcuni autori di riferimento dei componenti del quartetto, per aggiungere più radici di senso, più ombre di influenza. Prodotto da Mark Cunningham. Composto da Blood Quartet. Registrato da Pablo Miranda presso Fabra i Coats, Barcellona. Mixato da Pablo Miranda a La Isla Estudio, Barcellona. Masterizzato da Chris Hardman, Regno Unito. Personale: Mark Cunningham – tromba, chitarra; Lluis Rueda – Chitarra; Kike Bela – basso, Korg MS-10; Marc Eugeni – batteria.

Sembra, in alcune occasioni, di ascoltare un gruppo dark accompagnato da un trombettista che non cela la propria passione per musicisti quali Jon Hassell e Don Cherry. Le atmosfere non sono univoche, mutano costantemente. L’apertura ha connotati desertici (“A Place of Dead Roads”), si incontrano momenti prettamente jazzati, rallentamenti tipici del post-rock, non manca l’improvvisazione pura. Sono cinquanta minuti in cui non sai mai cosa possa accadere.

Mark Cunningham è sicuramente un personaggio che ha saputo mantenere la propria musica ad un livello che non ha mai deluso chi ha voluto approcciarsi alla sua arte!!!


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