Bill Frisell è considerato uno dei chitarristi più rappresentativi della sua generazione. La sua musica, sia nei propri dischi che in quelli degli altri, ha spaziato tra i più diversi stili e generi. Ha studiato musica alla Berklee School Of Music e con Jim Hall, che lo influenzerà notevolmente. La sua carriera professionistica iniziò nel 1979 come chitarrista “interno” dell’etichetta ECM di Monaco di Baviera di proprietà di Manfred Eicher, firmando sia dischi a suo nome che prestando la sua maestria ad altri musicisti dell’etichetta come Paul Motian e Jan Garbarek. Negli anni ’80 si trasferì a New York dove fu protagonista di collaborazioni durature, il leggendario trio di Paul Motian con Joe Lovano al saxofono, l’entourage di John Zorn coi Naked City, ma anche con Wayne Horvitz, Bobby Previte e Tim Berne. Negli anni ’90, durante il suo periodo con la Nonesuch approfondì il suo interesse per gli stili classici americani come Country, Blues e Bluegrass, mostrandone sempre il lato più intimo. Ha collaborato con tanti artisti di musica pop-rock come Costello, Sakamoto, Sylvian, Marian Faithfull. Il suo nuovo album in duo con il contrabbassista/cellista Thomas Morgan è stato registrato nell’ottimale ambientazione acustico/artistica del Village Vanguard. La maggior parte delle canzoni sono tributi. ‘It Should Have Happened a Long Time Ago’ l’ha suonata in parecchie occasioni con il suo compositore Paul Motian, siamo di fronte ad un sentito omaggio al suo leader di tanti anni fa. Il pezzo si dilata fino agli undici minuti in una versione incantata e sublime. Un’altra dichiarazione di stima è ‘Subconscious Lee’ dell’artista Lee Konitz, tra l’altro presente alla registrazione tra il pubblico, in una resa di grande finezza. Stupenda l’intimistica meditazione di ‘Son For Andrew No. 1’ che trae la sua ispirazione dal batterista Andrew Cyrille. Qualsiasi cosa suoni non è mai fine a se stessa ma è al servizio della musica, non si cede mai alle lusinghe del proscenio. Questa capacità di scandagliare in profondità i brani portandone in superficie l’aspetto più intimo prosegue per tutto l’album, che si chiude con il classico bondiano Goldfinger’. Sicuramente una traccia inaspettata, proprio il tipo di scoperte che solo Frisell riesce ad estrarre dal cilindro: non ne viene data una reinterpretazione ma viene indagato lo spirito recondito della composizione. Un disco che conferma il lavoro instancabile di ricerca del musicista di Baltimora.

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