BAMBARA- “Stray”Bambara, appuntatevi questo nome, presto saranno grandi. Dopo una serie di autoproduzioni il power trio di Brooklyn licenzia il secondo album per Wharf Cat, liberando tutto il livore in musica. Band americana composta da Reid Bateh (voce e chitarra), Blaze Bateh (batteria) e William Brookshire (basso). Il successore dell’ottima epopea noir-western “Shadow on Everything” (2017) torna sul luogo del delitto rinforzando lo storytelling cinematico (tanto Tarantino quanto Lynch) che accompagna un goth-(post)punk-blues che trita Nick Cave e Gun Club.

La provenienza newyorkese non è un caso: i tre imbracciano il malcontento delle aree più periferiche rivisitando il meglio del post-punk e del noise-blues della grande metropoli. Materiale che ferisce e che suona molto più autentico di alcune compagini provenienti dal Regno Unito. Influenzati dai tardi Cop Shoot Cop quanto da Chrome Cranks o dai Pussy Galore di “Historia Della Musica Rock”, i nostri trovano anche una mediazione più autoriale, andando a scomodare Nick Cave, Leonard Cohen e le colonne sonore western di Morricone.

‘Noir’ è la parola chiava, termine che esprime toni più cupi, oscuri, solitari e, in questo caso, con tutta la brutale e disturbante valenza culturale della parola. Post-punk e blues che fonda le sue radici negli Ottanta dei Gun Club ricalcando con ancor più decisione lo stile di Nick Cave, specie quello di “Henry’s Dream”, vigoroso, brutale e misterioso; gothic rock e country come i più grotteschi e notturni Sixteen Horsepower. La scrittura è di livello alto, gli arrangiamenti perfetti per uno scopo che non è quello di rallegrarvi la giornata nonostante non manchino affatto brani carichi e veloci (“Sweat”).

Non solo la parte musicale ci colpisce, anche le liriche sanno graffiare al punto giusto, ma, su tutto, si staglia la voce baritonale di Bateh, che oltre al succitato Cave prende palese e dichiarata ispirazione anche da un certo Leonard Cohen, pur finendo in territori che si avvicinano più allo stile canoro della dark music di tanti decenni fa (pensate anche ai Cramps, ad esempio); voce che coadiuvata da ritmiche a tratti marziali e incalzanti (“Machete”) crea qualcosa di strepitoso che entra di diritto tra le cose che più ascolterò, in questo maledetto periodo che sembra un tunnel in cui non si riesce a scorgere la luce!

Le canzoni raccontano vicende di personaggi dall’identità sfigurata che danzano sulle note di malsane ballate dark, grottesche storie d’amore e morte scandite con tempi ritmici tribali e ambigui profili di messaggeri dell’aldilà o di assassini che spiano dietro una finestra, annunciati da sonorità surf-rock.

Una delle più belle sorprese di inizio anno!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *