Il prossimo 20 marzo, gli Arbouretum pubblicheranno il loro album “Let It All In”. Il primo singolo del disco, “A Prism In Reverse”, racchiude il profondo senso di spiritualità e padronanza della narrazione attraverso il mito e la metafora. Arbouretum è sempre stato incentrato sulla notevole voce e scrittura di Heumann, e la sua abilità come cantante e chitarrista lo ha portato a suonare con artisti come Cass McCombs, Will Oldham e molti altri. Le canzoni di Heumann sono trasportabili e decisamente orientate all’album, e “Let It All In” è un invito a farsi coinvolgere in un album ricco di eleganza senza tempo.
Il folk-rock mistico dei nostri si lega ad un classicismo della musica del XX secolo in strutture di canzoni decisamente old fashioned. Folk inglese, country blues, Americana e psichedelia degli anni ’70 servono tutti come punti di contatto nel loro suono singolare e distintivo. La band di Baltimora ha perfezionato l’arte della narrazione usando il delicato gioco di melodie e testi prosaici per raccontare storie vivide che coinvolgono l’ascoltatore e trasportarli come farebbe un romanzo coinvolgente.
Registrato ai Wrightway Studios con Steve Wright e con ospiti come Hans Chew e David Bergander, ogni canzone è una scena o un racconto vivido; meticolosamente dettagliato e realizzato, trasportando l’ascoltatore in un altro mondo e tempo.
Ci si muove tra country rock e psichedelia lisergica e sognante, portando come nume tutelare il grande Neil Young. L’iniziale “How deep it goes” è un brano che porta ad una evasione dalla realtà attraverso un soft rock con arrangiamento orchestrale e ritornello melanconico cha profuma tanto di Eagles, cioè tutto ciò che un ascoltatore con formazione musicale post punk rifiuterebbe, eppure funziona.
L’effetto continua con il suono jingle-jangle di “Buffeted by wind” alquanto barocco. Ancora una volta, però, ci accorgiamo che la capacità compositiva dei nostri è estremamente piacevole, sono dei perfetti artigiani della materia classica, sanno rigenerarla con indovinati interventi di restauro. Grazie a questo riescono nel difficile compito di farsi apprezzare anche dal pubblico indie.
Le sonorità sono distintive sia che si presentino in veste americana (Headwaters II”), sia che si lascino andare in improvvisazioni kraut-rock come accade nella title-track.
La conclusione è affidata a “High water song” un honky tonk di derivazione sudista, brioso e senza tempo.
Non è facile presentarsi così passatisti e farsi apprezzare da un vasto pubblico, il segreto è saper scrivere canzoni che rimangono e che ti facciano star bene!!!


 

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