Andrew Bird è sempre stato a contatto con la musica fin dall’infanzia, in quanto la madre sognava una carriera di musicista da camera per tutti i propri figli.
Andrew ha sempre suonato il violino, fino a dodici anni ad orecchio, poi entrando in un conservatorio per meglio impararne l’uso. Le rigide regole accademiche non erano per lui, si sente intrappolato dalle precise strutture della musica classica e dalle lunghe ore da dedicare all’esercitazione.
Dopo aver raggiunto il diploma nel 1996, il nostro preferisce muoversi con maggior libertà, suonare ovunque ci sia la possibilità, tra pub irlandesi, alle feste e ai matrimoni fino a formare una propria band, i Charlie Nobody con i quali incide l’album “Soup”.
Successivamente collabora con gli Squirrel Nut Zippers, gruppo dedito ad una forma di swing revival, anche se in possesso di una precisa personalità musicale, coi quali da alle stampe tre lavori ben accolti da stampa e pubblico. Le capacità di scrittura di Bird lo portano a dar vita ad una nuova formazione, gli Andrew Bird’s Bowl of Fire. Le sonorità proposte sono un blend di tutti gli amori del nostro, quindi swing, jazz, calypso, folk che si rifanno, temporalmente, ai primi del novecento. Pian piano la musica si sposta verso un country-folk di grande originalità e dalla cifra stilistica fortemente personale. Non può più continuare con la band e prosegue a proprio nome.
Giunge a sorpresa, dopo tre anni dal precedente, il nuovo lavoro del violinista, dal titolo ironico “My finest work yet”. È un’opera immersa nel clima politico-sociale americano, alla ricerca di una corretta via da seguire. Musicalmente è un album pop, ma nell’accezione più nobile del termine.
Il disco è stato registrato dal vivo in studio, a spiccare è il suono che tocca vertici di emotività capaci di catturare la nostra attenzione per l’intera durata di questa importante fatica di Andrew. “Sisyphus” è una ballata dai toni malinconici che mostra quale sarà l’avventura che ci aspetta. Si vive continuamente di cambi di accordi in grado di spostare l’orizzonte sonoro. “Olympians” sembra un pezzo innocuo, ma si trasforma nel bridge e poi ancora nel chorus con un finale in crescendo punteggiato da cori. “Don the struggle” raddoppia il ritmo con i battiti delle mani prima di rientrare in una forma più canonica.
Non so dire se questo sia l’album migliore di sempre pubblicato da Bird, sicuramente un disco ricco di talento e creatività!!!


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