AL GREEN – ‘Call Me’ cover album1973! Che anno magnifico per la black music, dal soul al rhythm & blues al funky sono innumerevoli i dischi degni di nota quali “Innervision” di Stevie Wonder, “Let’s Get it On” di Marvin Gaye, “The Payback” di James Brown, “Back to the World” di Curtis Mayfield, “Superfunk di Funk Inc., l’omonimo di Betty Davis e mi fermo qui perché altrimenti dovrei continuare per pagine e pagine.

Tra i titoli citati non può mancare ”Call me” di Al Green! Al, Willie e il resto dei ragazzi hanno appena capito che la buona musica soul non ha sempre bisogno di soffocare. A volte puoi semplicemente lasciare che il groove ribolli piano e lentamente, come il modo in cui l’organo scivola nella prima strofa di “Call Me” – come un amante che scivola nel letto e ti afferra forte intorno alla pancia. E quando Al colpisce quella nota dopo circa due minuti e mezzo, poi la lascia semplicemente svanire come un tramonto…

Green striscia dentro quelle melodie, piegando il tono alla sua volontà e trovando modi per far sentire di nuovo ricchi anche i sentimenti più semplici. “I’m So Lonesome I Could Cry” dovrebbe essere la canzone più sdolcinata di sempre, ma prende l’intera triste vicenda di Hank Williams e la trasforma in un lamento eloquente che possiamo sentire nelle nostre ossa. Ma quello è sempre stato uno dei suoi più grandi doni: poteva prendere una frase che sarebbe crollata su sé stessa se cantata da qualcun altro e farla suonare come le parole più vere che qualcuno abbia mai pronunciato. Immagino che quello che sto cercando di dire è che quando Al canta, gli credo sempre. Credo che intenda ogni nota. Credo che voglia far credere anche a noi. E potrei sbagliarmi, ma sembra che tutti abbiamo ancora un disperato bisogno di credere – tanto quanto abbiamo fatto nel 1973 -che possiamo essere guariti.

È stato più difficile scrivere questo di quanto mi aspettassi. Non perché “Call Me” abbia perso parte della sua grazia compassionevole con l’età, ma perché è stato difficile conciliare la cura e la moderazione del disco con tutta la rabbia che ci circonda costantemente. Ho avuto problemi a cercare di udirne la sottigliezza nonostante così tante urla, così tanti pianti e così tanti proiettili. Voglio dire qualcosa di pieno di speranza come ‘L’amore parla sempre più forte della paura o dell’odio’, ma ci sono troppi corpi per strada perché io ci creda davvero. Per quanto un buon disco sia questo, non può dare vita ai morti. Cosa può fare è ricordarci quanto sia bello stare insieme, reale e vero. Può darci abbastanza guarigione per affrontare di nuovo l’orrore domani. Per almeno un po’, può ricordarci che le cose possono essere diverse se vogliamo che lo siano.

Non posso parlare per nessun altro, ma nonostante tutta la presunta connessione che abbiamo a portata di mano, spesso mi sembra di non essere mai stato più solo. Un messaggio non è un abbraccio. Un ‘like’ non è amore. Tweet, aggiornamenti dello stato di Facebook, post di Instagram e Snapchat non sono intimità, non importa quanto sia magica la loro imitazione. Quindi, per quanto apprezzi la tua lettura di questo, ecco cosa dovremmo fare invece: chiamami e io ti chiamerò. Beviamo e balliamo insieme in mezzo alla cucina come facevano mamma e papà. Anche se non l’avessero fatto, anche se quell’immagine fosse tanto una fantasia quanto i nostri sé online e immaginari, muoviamo i fianchi e scuotiamo i nostri culi finché non lo facciamo. Beviamo l’uno dall’altro come se fosse l’ultima chiamata e fuori c’è una tempesta -Perché c’è. Lascia che tutta quell’ira venga inghiottita nell’abbraccio di labbra calde e umide. Sediamoci, respiriamoci l’un l’altro profondamente e sussurriamo l’incantesimo di Al: ‘Eccomi (Vieni e prendimi)’!!!


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