NATALIE BERIDZE – ‘Mapping Debris’ cover albumNatalie ha vissuto diversi momenti creativi, a partire da adolescente, in quel di Tbilisi, nel collettivo multimediale denominato Goslab, periodo in cui la situazione era dominata da conflitti nazionalistici in quella che, allora, era ancora l’Unione Sovietica.

Nel 2002 si trasferì a Colonia, luogo che vide il suo esordio all’insegna di una microtechno ‘glitch’, nonché finire sotto l’ala protettrice di Thomas Brinkmann e dare vita all’etichetta Max Ernst, per la quale la nostra incise i primi dischi della sua discografia. Si vocifera che Natalie fosse anche sposata con Thomas, quindi fra i due non solo un connubio musicale, ma pure sentimentale, anche se il secondo non è mai stato troppo enfatizzato.

In seguito la Beridze ha vissuto tra Berlino e Tbilisi, per un certo periodo di tempo si firmò come TBA, dette alle stampe alcuni pregevoli lavori, anche eclettici, tra cui il razionale e raffinato ”Annulè”, nel 2005. Decise poi di cambiare percorso, intraprendendo una strada che la portò a pubblicare dischi la cui cifra stilistica era una commistione tra sperimentalismo moderato con inserti tecnopop. Può essere visto come il tentativo di affermarsi nel mercato elettronico tedesco, anche perché, la cosa non stona affatto, Natalie è sicuramente di bell’aspetto e sappiamo quanto questo possa influire sull’affermazione di un’artista. Purtroppo la qualità discendente dei suoi album non le permise di raggiungere i suoi scopi.

Ora l’artista georgiana ha quarantadue anni e pubblica quello che dovrebbe essere il suo decimo disco dopo essersi definitivamente stabilita nel paese natio e ciò ha portato sicuramente benefici.

“Mapping Debris” è una lezione di perfezionamento in design sonoro funesto, che prende spunto da colonne sonore di film distopici, minimal techno, pop di tendenza, musica classica, rumore ambientale e d’avanguardia. Se vi sembra che possa risultare molto ostico, sfogliate l’album per un momento: la Beridze tratta il genere come un quadrante radiofonico, sfogliando le idee con facilità e dissolvendo tutto in una nebbia radioattiva e glitch.

La raccolta inizia lentamente con la cruda “Mapping Debris I”, che riproduce in loop voci echeggianti su sub scroscianti e successi di piano preparati traballanti. Il lavoro prende il ritmo con “Be Airborn”, un masterizzatore minimale con influenze Pan Sonic che strizza l’occhio all’iconico primo lavoro della nostra con l’etichetta Max Ernst. Da qui, le cose si aprono davvero, con il pop ambient orchestrale allegro di “Mapping Debris III (West Thumb)” e la psichedelia sonora che altera la mente di “Mapping Debris (David Eight)”, che suona come SOPHIE che ricabla Antony e The Johnsons.

La musicista ha deciso di mettersi in gioco partendo come se vent’anni di carriera non fossero mai esistiti e solo ora iniziasse a dare il meglio di sé!!!


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