Provo ribrezzo nei confronti del Texas, per il suo orientamento politico da sempre repubblicano, per il fatto che le persone girano armate fino ai denti giustificando il fatto con la legittima difesa, quando invece si assiste e si sente continuamente parlare di stragi, non posso però disconoscere l’importanza del Lone star State sulla cartina musicale degli Stati Uniti. Che si parli di rock, di blues, di cantautorato country fior di artisti sono nati in Texas.
Tra questi mi sembra giusto parlare di un musicista che non ha grande seguito nel nostro paese, cioè Delbert McClinton. Adoro quest’uomo che alla veneranda età di settantanove anni dimostra ancora passione ed amore nei confronti della musica decidendo di fondare una propria casa discografica, la Hot Shot Records e si fa distribuire dalla Thirty Tigers, una delle migliori indipendent label oggi presenti sul suolo americano. In questo modo non è costretto a compromessi con i discografici, che secondo Delbert non capiscono niente di musica. Il nome stesso della band di accompagnamento, Self-Made Men è una dichiarazione di indipendenza.
Il nostro calca le scene da ormai sessant’anni, ha avuto la possibilità di suonare accanto a mostri sacri quali Howlin’Wolf e Jimmy Reed dai quali, come uno scolaretto, ha imparato tutto dalle cose più semplici a quelle maggiormente complesse. Si dice influenzato da tutti i più grandi, Elvis Presley, Carl Perkins e, in generale, da tutta la musica degli anni cinquanta, ma la fonte primaria proviene da Ray Charles, il suo preferito in assoluto.
La sua proposta sonora si rifà al blues e al soul, potremmo aggiungere Americana music, roots rock, country e tutti gli stili che ci girano intorno e vi vengono in mente. Il musicista di Lubbock è salito per la prima volta su un palco nel 1957 e da allora ha sempre cantato dal vivo, soprattutto negli States, senza peraltro mai raggiungere la grande fama, visto che il suo album di maggior successo, “The Jealous Kind” del 1980, è arrivato solo al n° 34 delle classifiche di vendita di Billboard. Ma ancora oggi a quasi 79 anni, li compirà a novembre, è considerato uno dei migliori stilisti e vocalist in circolazione, molto considerato da appassionati, critica e colleghi.
Anche in questa occasione è accompagnato dai Self-Made Men, la sua nuova formazione, ai quali si è aggiunta per l’occasione la sassofonista Dana Robbins. il disco è co-prodotto con McCClinton dai suoi abituali collaboratori Kevin McKendree, che è anche il tastierista della band, e Bob Britt, il chitarrista. Entrambi i musicisti sono anche i co-autori della gran parte delle canzoni, mentre il disco è stato registrato alla Rock House di Franklin, Tennessee, stato in cui il nostro amico vive ormai da moltissimo tempo. A completare la formazione, oltre alla Robbins, Mike Joyce al basso, Jack Bruno alla batteria e Quentin Ware alla tromba, più diversi altri musicisti e vecchi collaboratori che appaiono solo in alcuni brani.
Ascoltare un suo disco e come ristorarsi lungo la strada, mentre si è alle prese con un lungo viaggio, fa bene allo spirito e all’anima. Forse questo nuovo album non è il migliore della sua carriera, ma è comunque un disco solido, tutto incentrato, come è abitudine del nostro, su nuove canzoni scritte per l’occasione. L’iniziale “Mr. Smith” è uno shuffle jazz blues per big band, oppure, sempre per abbreviare, Texas swing.
Fiati in evidenza, voci di supporto e il piano che si prende la scena, come in buona parte dell’intero programma.
La breve “If I Hock My Guitar” si snoda tra R’n’R alla Chuck Berry e soul dal groove eccitante. “No Chicken On The Bone” è un divertente western swing con uso del violino (Stuart Duncan), sempre con la voce sporca e rauca del nostro che è raddoppiato dalle sue coriste.
“Gone To Mexico” è una delle tre canzoni scritta in solitaria da Delbert, brano che miscela Messico e blues, atmosfere calde grazie ai fiati e il piano che cuce ricamando splendide note. “Lulu” è molto jazzy, e possiede, anche vocalmente, qualcosa che rimanda al primo Tom Waits, forse per l’uso del contrabbasso, chitarra e piano. “Loud mouth” è uno dei momenti top del lavoro, blues chitarristico con il figlio di McKendree, Yates, alla solista e lui che fa volare le mani sul piano.
“Ruby And Jules”, tra piano jazz e R&B anni ’50 è un’altra delizia, con la voce di Delbert, in formato spoken, che la punteggia con il suo stile inimitabile.
Disco che è un piacere ascoltare, capace di riconciliarci con tutte le nostre problematiche, McClinton non ha mai suonato da noi, speriamo sia arrivato il momento di poterlo apprezzare sul palco!!!


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