Anno di grazia 2005, luogo di provenienza Svezia che, per chi non lo sapesse, è una delle realtà europee più solide per quanto riguarda la materia rock, quindi non solo metal, ma anche musiche più di ricerca e sperimentali.
La storia inizia quando Joachim Nordwall, cantante e chitarrista, incontra il batterista Henrik Rylander ed insieme danno i natali al primo embrione degli Skull Defekts.
L’idea sarebbe quella di creare un suono circolare, ritualistico e ripetitivo, ma hanno necessità di allargare la formazione per cui vengono assoldati il percussionista Jean-Louis Huhta e la voce e la chitarra di Daniel Fagge Fagerstrom.
L’attività prosegue fino al 2008 anno in cui il gruppo si muove, tra dischi ed esibizioni dal vivo, in un contesto glitch-noise ed un pesante noise-rock, ma il risultato è solo discreto ed un po’ risaputo.
La scintilla che permette alla band di fare il salto di qualità è l’incontro, avvenuto durante un tour negli States, con Daniel Higgs il barbuto cantante dei Lungfish. Lo scatto in avanti è servito su di un piatto di impronta noise alla Sonic Youth e Swans a cui il nuovo arrivato aggiunge un tocco di imprevedibilità per dare diversità ad una formula altrimenti troppo classica e già sentita.
Purtroppo lo scorso autunno giunse la notizia, per bocca di Nordwall, che il disco di cui andrò a parlarvi sarà l’ultimo!!!
La scelta è dovuta ai problemi di poter lavorare tutti assieme all’interno dello studio di registrazione. Sia Huhta che Higgs erano sempre meno coinvolti dal progetto, tanto che nel nuovo album il percussionista è sostituito dalla ex-batterista dei Wildbirds & Peacedrums Mariam Wallentin.
Si tratta di un lavoro diverso dai precedenti, in cui la componente noise perde di consistenza in favore di un aspetto più dark. Importante, da questo punto di vista, l’ingresso di Mariam, la cui vocalità autorizza paragoni con Siouxsie & The Banshees.
Il disco ci dà il benvenuto con uno dei brani migliori mai scritti dagli Skull Defekts, lo strumentale “A brief History of rhythm, dub, life and death”. Sono sei minuti in cui tutto quello che il titolo afferma si realizza.
Il successivo “Clean mind” è un’altra bomba con la voce della Wallentin scura e distante mentre attorno si materializza un incubo swansiano.
“The dance” ha ritmi più moderati ed intrusioni di piano che mi ricordano i Bauhaus.
I due pezzi cantati “Slow storm” e “Powdered” sono un’incursione nei primi Banshees.
Il disco si rivela il migliore fra quelli prodotti dalla band grazie alla solida scrittura e alla capacità di arrangiarla in misura spartana, ma efficace per gli obiettivi di suono da raggiungere.
Peccato che si sciolgano perché da qui si poteva ripartire per un nuovo percorso!!!

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