L’industria discografica è in crisi da tempo, sia le major che le etichette indipendenti, ma, nonostante tutto, si assiste da anni al proliferare di uscite come mai in passato. Il rischio è che vengano pubblicati album di scarso valore artistico e, nello stesso tempo, si perdano lavori di indubbio interesse. Alzi la mano chi conosce Sam Lee. Non ne vedo molte in aria ed è un peccato perché il ragazzo ci sa fare e meriterebbe ben altra esposizione.
Sam ha un ruolo unico nella scena folk britannica, molto inventivo e personale, appassionato collezionista e impresario di live events di successo. Il suo approccio alla materia folk non ha mai avuto timore di utilizzare strumenti non convenzionali, creando arrangiamenti in grado di sporcare il suono e renderlo non canonico, utilizzando profumi jazzati e suggestioni cameristiche e mettendo in mostra una vocalità notevolmente espressiva. Accanto alla sua organizzazione The Nest Collective e colleghi collaboratori, Sam ha sconvolto la scena della musica dal vivo rompendo i confini tra musica popolare e contemporanea e il luogo presunto e il modo in cui viene ascoltato il folk.
E per la prima volta, Sam include lo strumento particolarmente assente dalla sua carriera discografica, la chitarra e la chitarra elettrica, suonate dal produttore dell’album Bernard Butler. Altri musicisti coinvolti includono quella che lui chiama la “line-up classica” di piano (James Keay), basso (Misha Mullov-Addado) e percussioni (Josh Green), insieme a Caoimhin Ó Raghallaigh dell’acclamata band The Gloaming (sul violino di Hardanger, quello a nove corde). “Old wow” prosegue il percorso personale dell’artista cioè la ricerca di una strada che sappia miscelare la grande tradizione folk con la sua reinvenzione per poterla adattare al proprio messaggio. Va vista in quest’ottica la riscrittura di alcuni testi dei Traditionals per adattarli ai giorni nostri, così come riprendere antiche melodie e rivoltarle in modo da sembrare brani autografi. Per poter raggiungere tale risultato, oltre ai musicisti di cui sopra, bisogna aggiungere le notevoli apparizioni di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, oltre alle splendide armonie di Cosmo Sheldrake e della poetessa Dizraeli. Il disco è un insieme di brani meditativi e commoventi, dominati dalla voce soul e sensibile di Sam ed è anche la sua registrazione più sicura fino ad oggi. Non è un caso essere un album dedicato al suo amore e passione per il mondo naturale; un impegno che ha dominato il cuore di Sam e la pratica non musicale per molti più anni di quanto abbia cantato.
Si parte con la rilettura di “Seeds of love”, diventata “The garden of England”, melodia folk che fluttua da sempre nell’etere, con una strumentazione che entra ed esce dal brano, quasi fossero pennellate di un pittore. “Lay this body” inizia come un gospel per trasformarsi in una torch song di impronta orchestrale. “The moon shines bright” vive dello splendido duetto con la Frazer, mentre “Soul cake”, pianistica e punteggiata da inserti di violino, prende la forma raffinata di un blend tra jazz e Morricone.
Sì, Sam ha un ruolo unico nella scena musicale britannica. E ora, con “Old Wow”, ha rielaborato le canzoni tradizionali per creare quello che descrive come “un ponte senza tempo, musica che può guardare sia avanti che indietro, e un accompagnamento profondo per un urgente bisogno di innamorarsi della natura se dobbiamo saperlo proteggere”.
Opera poetica e suggestiva, forse adatta per i sognatori, ma che all’ascolto ti lascia con un senso di pace interiore!!!


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