La curiosità ha sempre mosso le mie ricerche in campo discografico, non mi sono mai fermato di fronte a recensioni negative, possibili tipi di musica che in un determinato momento ero conscio che non mi sarebbero piaciuti. Spesso il mio interesse verso un disco era determinato dalla copertina.
Richard Horowitz è un nome che non mi dice nulla, ma la copertina mi è piaciuta. ‘Eros in Arabia’ è in questo modo che è giunto in negozio, oltre al fatto che esce per la Freedom To Spend, che è una sottomarca della RVNG Intl., etichetta fondata dal musicista noise Pete Swanson e da Jed Bindeman, proprietario di un negozio di dischi. L’album in questione uscì nel 1981 e lo si può collocare nell’ambito della cosiddetta fourth world music, di cui Jon Hassell può essere considerato il più noto propugnatore. Lo stesso, partecipa al disco che si compone di otto brani, i quali risultano alle orecchie terreni ed alieni allo stesso tempo. Horovitz non è però uno sconosciuto, dopo attente ricerche ho scoperto che collaborò con Sakamoto per la colonna sonora di ‘The Sheltering Sky’, il famoso ‘Il Tè nel Deserto’ di Bertolucci, tratto dal romanzo di Paul Bowles, amico di Horovitz. Tra il 1968 e il 1979 Richard visse a Parigi e in Marocco dove studiò musica ed anche filosofia araba, francese ed orientale. Le sue radici musicali attecchiscono nella classica, nel jazz, nell’elettronica, ed è anche esperto di musica trance, tribale classica e sacra dal Nord Africa all’Indonesia. Come strumentista si cimenta con percussioni e vari strumenti a fiato tra cui anche il ney, un flauto dell’antica tradizione persiana. Addentrarsi nei solchi del lavoro è veramente splendido, si possono incrociare suoni antichi come quelli del ney con quelli futuristici del synth Prophet 5. Magnifici in tal senso risultano i ventun minuti di ‘Elephant Dance’ in cui questi due strumenti ci permettono un viaggio in cui la musica sufi confluisce nelle lande indonesiane di Giava, mentre il synth sembra riprodurre un gamelan. Anche gli altri brani sono comunque di estremo fascino. Il canto rituale iraniano di Sussan Deyhim si fa largo tra le maglie percussive in ‘Queen Of Saba’. Il gamelan ritorna anche in ‘Bandit Nrah Master Of Rajasthan’ e in ‘Baby Elephant Magic’ che è una ‘Elephant Dance’ a velocità doppia. C’è anche un brano, ‘23/8 For Conlon Nancarrow’ fortemente dissonante grazie ad un piano Steinway preparato in stile John Cage e suonato nel modo più veloce possibile.
Lasciatevi ammaliare da questi suoni e vi troverete in un mondo magico a cui difficilmente potreste rinunciare.

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