PYNCH – ‘Howling At A Concrete Moon’ cover albumOccupando uno spazio sonoro unico tra l’indie e l’elettronica, i Pynch sono una band che fonde insieme chitarre pop, sintetizzatori glitch, percussioni da ballo e testi stimolanti.

Il loro attesissimo debutto, “Howling at a Concrete Moon”, pubblicato da Chillburn Recordings, co-prodotto da Andy Ramsay degli Stereolab, e il cui nome è tratto da un episodio dei Simpson, incarna tutto ciò che rende speciale questa band. È una gioia assoluta dall’inizio alla fine. Non solo è sonicamente dinamico e imprevedibile, i testi di ogni traccia sono emotivi e ironici, rimbalzando sempre tra il personale e il politico. Esplorano temi dall’amore alla disillusione che deriva dal crescere in un’austera Gran Bretagna, il tutto accompagnato da strumentali lo-fi malinconicamente strutturati. Il disco è vivace, nostalgico, a volte anche toccante; e incarna, così come romanticizza, la dicotomia tra il centro città e le stelle.

“Haven’t Lived a Day” dà il via a tutto con una melodia di chitarra in stile Sonic Youth e suoni di synth che brillano in sottofondo, mentre i testi si confrontano con l’esistenzialismo moderno e si sentono senza direzione. Queste scintille create dal sintetizzatore fluttuano sullo sfondo della maggior parte delle tracce, elevando la sensazione della musica e, si potrebbe dire, riecheggiando i temi di urbanizzazione e abitare in città – facendoti quasi sentire come se potessi guardare oltre tutti i grattacieli e l’inquinamento luminoso e in una chiara notte stellata. Lo stesso vale per il penultimo brano, “London”, un pezzo riconoscibile che esplora la vita attraverso crisi finanziarie e abitative. “Disco Lights” ha un suono di chitarra indie brillante e classico e bassi grintosi, e “2009” è più simile al dreampop, attraversando liricamente la nostalgia della giovinezza negli anni ’00. Il taglio è quasi agrodolce sia nella sua melodia che nelle reminiscenze liriche di tempi più semplici e innocenti.

“The City”, che è divisa in due parti, è un vero highlight. Dimostra l’inventiva della formazione e mostra la loro capacità di creare punti sia creativi che politici sorprendenti attraverso la propria musica. In un’inversione, “The City (Part 2)” è al primo posto nell’elenco delle tracce. È un brano più lento, simile ad una ballata, che dipinge un’immagine solitaria della vita cittadina e della monotonia di un 9,00-17,00. ‘È per questo che siamo fatti?’ è la domanda che guida il ritornello, a cui Spencer (voce) risponde, ‘fuck no’ prima che prenda il sopravvento un crescendo tonante e catartico. “The City (Part 1)” poi ribalta questa malinconia, con giocosi ritmi di batteria in stile LCD Soundsystem, una melodia guidata dai bassi e voci echeggianti, la canzone si meraviglia della bellezza di una città e che ‘il domani è lontano una vita’. È un viaggio sonoro impressionante ed emozionante.

Tutto sommato, “Howling at a Concrete Moon” è un trionfante esordio sulla lunga distanza, pieno di groove indie e tracce coinvolgenti. Ci sono canzoni su cui ballare, ma anche momenti da ascoltare mentre si fissa malinconicamente il cielo notturno. Per quanto ottimista o disilluso tu possa sentirti riguardo al futuro, c’è qualcosa che può essere la colonna sonora!!!


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