Di giornate ce ne sono infinite e mai nessuna uguale all’altra. Qualunque esse siano però, una certezza resta: si arriva sempre a sera. Ci si addormenta, a volte si sogna poi arriva l’alba e si ricomincia. In un’ora indefinita della notte si collocano i Pale Saints, solo da una cert’ora piccola in avanti fino al sorgere del sole, al di fuori di questo lieve arco temporale non esistono, li cerchi sugli scaffali dei negozi e trovi il vuoto, le radio non li passano, ogni ricerca si infrange.
Sono trascorsi trent’anni dall’esordio di questa band particolare e poco celebrata che fece parte di uno dei momenti più creativi della musica britannica alternativa a cavallo tra gli anni ottanta e i Novanta. Sono stati un gruppo che ha scritto pagine indimenticabili del movimento shoegaze, meno mentali degli Slowdive e di una elettricità inferiore ai Ride. Sono stati i primi fare propria la lezione dei My Bloody Valentine e inevitabilmente influenzati dai Cocteau Twins compagni di etichetta (4AD). La loro cifra stilistica riusciva a miscelare estasi e concitazione a cui non veniva meno l’insegnamento melodico del C86 così come non era secondaria l’attenzione verso la neo-psichedelia americana (per conferme la cover di “Fell from the sun” degli Opal).
Il singolo “Sight of you” è un autentico inno, con un arrangiamento perfetto che da risalto al fraseggio chitarristico e alla lucentezza percussiva in grado di colorare di grigio il malinconico messaggio. I nostri sanno come rendersi protagonisti nel momento in cui il sole crolla all’orizzonte. Ian Masters (basso e voce), Graeme Naysmith (chitarra) e Chris Cooper (batteria), tre angeli nel buio. A Leeds, ci scommetto, nessuno li ha mai visti in giro di giorno. I Pale Saints dipingono il suono con tinte fortemente Dream Pop in modo da potersi localizzare in un solo scenario: quello del sogno, sempre un’inafferrabile dimensione parallela.
La cavalcata iniziale “Way The World Is” è una rumorosa porta aperta verso un mondo che sarà tuo per qualche ora, combinando la sua ritmicità con una melodia che sembra provenire da molto lontano. “Sea Of Sound” si muove su un tessuto di chitarre narcolettiche che giocano sull’effetto eco. Shoegaze puro nel caso di “A Deep Sleep For Steven” fatto di fotogrammi di persone con gli occhi chiusi e le luci dell’aeroporto. Mai titolo di album fu più azzeccato in relazione ai contenuti.
Splendida ed unica la relazione tra la voce dai toni timidi di Masters con le pungenti strutture elettriche, che ci ricordano come erano gli anni ottanta.
La 4AD, in occasione del trentennale del disco, ristampa la versione rimasterizzata di “The Comforts of Madness”, includendo, oltre alle tracce originali, un secondo disco con demo e l’unica Peel Sessions realizzata dal quartetto di Leeds.
Non ebbero le dovute gratificazione allora, non lasciate che anche oggi passino inosservati, perdereste una musica capace di essere immediata e candidamente poetica!!!


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