OWEN PALLETT- “Island” cover album“Island” è il nuovo album in studio del compositore e cantautore canadese Owen Pallett, pubblicato a distanza di sei anni dal precedente “In Conflict” (2014). Registrato in presa diretta agli Abbey Road Studios con la London Contemporary Orchestra, il disco è quasi interamente acustico e, stando a quanto sottolinea la nota stampa, «prende spunto dall’intera discografia di Owen, dagli accesi colori di “Heartland” (2010), all’agile fingerpicking che caratterizza il primo album di Pallet con Les Mouches [“The Polite Album”, 2020]». Per la prima volta Pallett ha creato un’opera «senza pensare troppo a come sarebbe venuto dal vivo su un palco». L’eccezionalità del fatto deriva dalla sua reputazione, basata sui virtuosismi che esegue sul palco con il violino per le band di cui è special guest, come gli Arcade Fire o gli Hidden Cameras, o per il suo progetto da solista sotto lo pseudonimo di Final Fantasy. Questa ritrovata “libertà nell’esecuzione” dovrebbe rispecchiare il tema di “Island”, un’opera con cui il compositore canadese si interroga sul significato dell’essere vivi e, come parte della stessa medaglia, sul perché capitano anche cose orribili. Ma il nostro non darà risposte («Ragazzi, non so cosa succederà in futuro» avverte).

Oltre al lavoro con gli Arcade Fire che gli è valso un GRAMMY, Pallett ha curato archi, ottoni e arrangiamenti orchestrali per Frank Ocean, Caribou, Last Shadow Puppets, The National, The Mountain Goats, Christine and the Queens, R.E.M., Linkin Park, Sigur Rós, Taylor Swift, e i Pet Shop Boys. Dalla pubblicazione di “In Conflict”, Owen si è guadagnato una nomination agli Oscar per “Her” di Spike Jonze e un Emmy per “Fotuneen Actors Acting” di Sølve Sundsbø. Ha inoltre curato la colonna sonora per “Spaceship Earth” di Matt Wolf, un documentario su una crew che trascorse due anni in quarantena in un ecosistema chiamato BIOSPHERE 2, disponibile ora.

In questo disco il violinista giunge ad un punto in cui deve fare i conti su chi voglia diventare da grande, cioè colui che ama le sonorità orchestrali e classicheggianti oppure il musicista che si diletta con materiale folk acustico e spoglio. Diciamo che riescono a convivere le due anime, inizialmente era stato pensato come un’epopea di ottanta minuti che si è ridotta, poi, di una ventina di minuti. La narrazione è unitaria, ma le atmosfere e i timbri cambiano a seconda dei pezzi. Si va da passaggi in ambito ambientale tonale come in “___>”, al profondo decadentismo delle collaborazioni con la London Contemporary Orchestra che lo avvicina al David Sylvian di fine anni ’80 (“Lewis gets fucked into space”). Il momento cardine è raggiunto con “Firemare” in cui tutti gli elementi si compenetrano in un lirismo quasi divino. Il lavoro riesce a tenere a bada quelle tentazioni barocche (di cui però non farà mai a meno) che spesso inficiano l’esecuzione. Owen sta lavorando verso la giusta direzione per avvicinarsi ad un pubblico che lo apprezza maggiormente quando suona acustico!!!


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