Dopo “Your Turn” del 2013, casa Yellowbird presenta “YRU Still Here?”, il nuovo attesissimo album del veterano Marc Ribot (chitarra, voce, corno alto, vocoder, farfisa) con il suo strabiliante trio Ceramic Dog formato da Shahzad Ismaily (basso, moog, sintetizzatori, voce) e Ches Smith (batteria, elettronica).
Il disco si apre con Ribot che grida la frase ‘I got a right to say fuck you!’ contro la corruzione, la tirannia, la vita in generale e niente in particolare.
Per chi si sente stanco di essere indignato, l’esplosivo cocktail dei Ceramic Dog fatto di un disprezzo camaleontico per i vincoli di stile, di commenti politici e di un umorismo assurdo, è un album davvero imperdibile.
“YRU Still Here?” arriva proprio in tempo per ricordarci che stiamo vivendo un periodo in cui la rabbia non solo è necessaria, ma inevitabile.
Ma quella che sembra semplice retorica da slogan, grazie ai musicisti si trasforma in qualcosa di molto più profondo. A titolo di spiegazione stilistica, Ribot commenta: «Sì, anche noi siamo soggetti alla condizione post-moderna, ma noi la viviamo come una sorta di psoriasi».
Oltre ad essere un eccellente chitarrista che ha collaborato con artisti del calibro di Tom Waits, John Zorn, Lounge Lizards ed altri, Ribot è anche stato sindacalista ed attivista per i diritti degli artisti, ruolo in cui ha messo in campo le sue abilità di agitatore e propagandista che aveva fatto conoscere al pubblico un hit come “Fuck La Migra” e “Muslim/Jewish Resistence”.
Se da una parte “YRU Still Here?” è un grido di battaglia, dall’altra è anche la consacrazione del legame tra Ribot, Ismaily e Smith: parlando di loro Ribot li ha definiti la sua ‘coscienza musicale’ e della band ha detto che per lui è ‘una famiglia anche se non sempre in senso buono’. Definito dal New York Magazine ‘l’album più selvaggio’ di Ribot, “YRU Still Here?” è un disco che non lascia dubbio sulla genialità di questo artista e sulla maestria dei suoi compagni.
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