Un disco abbagliante eppure fragilissimo, una musica che si insinua sottopelle, emotiva eppur lucidissima, di sfavillante costruzione e ingegno come di malinconica purezza. A volte un capolavoro si manifesta a sorpresa, inatteso, ascolto dopo ascolto.
I Kopernik sono un duo statunitense (Tim Delaney e Brad Lewis) e hanno costruito questo piccolo gioiello basandosi minimamente sull’utilizzo di trattamenti elettronici e violoncello, pur avvalendosi di vari ospiti (piano, corno francese, chitarra, percussioni). Otto bozzetti elettroacustici di miracolosa perfezione per meno di 35 minuti di musica.
I primi due brani,” Ondoyant et divers” e “Theme for grace”, sono un inizio luminoso e introverso con il violoncello che disegna volumetriche tracce acustiche nello spazio sonoro perimetrato dal gioco di rimandi elettronici. Il primo riferimento è il lavoro del violoncellista Wolfang Tiepold in alcuni dischi di Klaus Schulze, ma c’è qualcosa di meno appariscente e più liricamente inquietante nei Kopernik. Deciso il cambio di atmosfera con “Man, mith and magic” dove un pattern percussivo di stile orientaleggiante si dilata in una seconda parte introversa e ambientale, di chiara espressività cinematografica e descrittiva con tasselli sperimentali a imbrattare il disegno. “Ava peacefully” e “Kopernistan” ampliano il discorso con il violoncello che dialoga drammaturgico in un mare di solitudine. Chiarissima l’ispirazione tardo sinfonica, a volte sembra evocare le distensioni musicali di musicisti nordici come Sibelius. Classicismo che si concretizza appieno in “The sea and the march are one”, brano di equilibrio miracoloso, con sovrapposizione di coro e orchestra, cinque minuti intensissimi con accenni melodici compressi quanto incombenti, sospesi nel nulla, astratti quanto celebrativi e imponenti. Clima relativamente più disteso e lineare con “Faraday”, con la parte finale dominata da pochi quando efficaci accordi di chitarra. La brevissima “Found photograph” chiude il cd.
Un capolavoro di forte e ricercata struttura compositiva, che assume dalla musica classica l’impianto generale senza cadere nelle leziosità del camerismo contemporaneo, avanguardistica senza cacofonie gratuite, ambientale negli evidenti rimandi psico-acustici senza ripercorrerne la stasi e la ciclicità anzi
caratterizzandosi per una forte dialettica interna. Forse molti potrebbero trovarlo noioso, ma per me disco dell’anno.

Doktor Kiusi

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