“Fever Breaks” è il decimo studio album dell’acclamato musicista e cantautore americano Josh Ritter. Nuovo lavoro prodotto dalla stella dell’americana Jason Isbell. I 10 brani del disco sono stati registrati da Josh con la 400 Unit band di Jason a Nashville, Tennessee, presso gli storici studio della RCA.
La carriera ormai ventennale di Ritter è iniziata nel 1999 con l’omonimo “Josh Ritter” inseguendo le orme dei suoi miti Bob Dylan e Leonard Cohen. Il nostro è un cantautore di rock sincero, influenzato dal country con testi introspettivi mai banali. Pensavo che la parte migliore di sè l’avesse data nel decennio scorso, quando ci presentava lavori in cui riusciva a far andare a braccetto rock e pop come accadeva ai migliori autori degli anni settanta, portando il meglio dei due generi in modo da far trasparire melodie cristalline ed una semplicità sonora contagiosa.
Essendo essere umano che ha avuto a che fare con demoni vari non mancano in questa raccolta episodi più introversi quali la lunga “The torch committee” pezzo elettrico che sfocia in un tumultuoso finale con percussioni e violino in evidenza, ma è la semplicità, la melodia diretta la caratteristica principale di “Fever breaks”.
È un percorso musicale che si muove dalla California di quaranta anni fa per proseguire nel Texas e nel Tennessee dello stesso periodo. Ispirato e delizioso il brano dal titolo “Losing battles” la cui elettricità mi riporta alla mente gli adorati Heartbreakers di Tom Petty. Non si può fare a meno di battere il piedino nel power-pop di “Ground don’t want me”.
Il brano più riuscito risulta essere il folk rock luminoso e puro di “A new man” che i più anziani di voi non potranno fare a meno di trovare i Lovin’ Spoonful di John Sebastian come ispirazione (anche se l’assolo finale della sei corde è 100% Mike Campbell).
Un connubio perfetto tra uno dei più brillanti folksinger americani dell’ultima generazione, Josh Ritter, e una delle voci più in vista del movimento Americana, Jason Isbell. Il primo si prende i meriti della scrittura del suo decimo album in carriera, il secondo si assume il peso della produzione. Ne risulta un lavoro che raggiunge un linguaggio tipico dei territori più classici della canzone rock d’autore.
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