Non è semplice inquadrare Jon Hassell e definire la sua musica, un termine che potrebbe darne un’idea è etno-elettronica, sottogenere della musica elettronica che combina melodie e strumenti ed elementi propri della musica etnica ai ritmi e stili propri di quella elettronica. Jon nacque a Memphis, si formò nella Eastman School Of Music di Rochester, ma rimase affascinato dal percorso di Karlheinz Stockhausen di cui divenne allievo a Colonia e conobbe anche due membri dei futuri Can. Fu allievo anche del maestro indiano Pandit Pran Nath da cui imparò l’uso della voce come strumento. Fece anche parte del minimalismo storico collaborando con Terry Riley e La Monte Young. Il suo primo lavoro, ‘Vernal Equinox’ uscì nel 1977 per la Lovely Music e si può considerare uno dei capolavori del minimalismo. C’è un fine lavoro alla tromba, ma quello che più colpisce è la sua abilità nel combinare l’elettronica a tutte le musiche possibili. Grande capacità anche di utilizzare gli studi di registrazione come strumento aggiunto. Nel 1978 pubblicò ‘Earthquake Island’, lavoro composto da sette tracce strumentali che possiamo considerare un anticipatore di mode in cui s’incontrano occidente ed oriente, il soffio della sua tromba con le percussioni di Naná Vasconcelos. Tutto è in perfetto equilibrio e possiede un eccellente senso estetico. Ma il raggiungimento perfetto del suo percorso si realizzerà con ‘Dream Theory In Malaya’, disco appena ristampato dalla Glitterbeat. Il lavoro è il secondo sforzo in collaborazione con Brian Eno, si tratta di un affresco sorprendente che dà origine ad una mappa sonora che si dispiega dal sud-est asiatico all’Africa, il tutto osservato come se si fosse nello spazio. La sua tromba è anticipatrice e molti artisti vi attingeranno. Si parte con ‘Chor Moiré’ con loop ossessivi, ci si cala nella giungla profonda con ‘Courage’ e ‘Dream Theory’. Ampio uso percussivo molto tribale per ‘Datu Bintung At Jelong’ e ‘Malay’. Un album manifesto per tutti coloro che si cimentarono con le musiche del quarto mondo, dai Talking Heads di ‘Remain In Light’ per arrivare a David Sylvian, Peter Gabriel e persino a Bjork.
Fondamentale.

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