“American Standard” è il 19° album realizzato in studio da Taylor, nonché la sua prima pubblicazione dopo “Before This World”, il primo lavoro nella sua carriera a raggiungere la vetta delle classifiche. In “American Standard”, Taylor infonde nuova linfa e nuovi suoni in questi capolavori senza tempo, reinventando e facendo sue alcune delle canzoni più amate del 20° secolo. Un lavoro per cui si può affermare che James faccia il crooner, cioè il cantante confidenziale che reinterpreta brani altrui, canzoni che ascoltò fin da bambino e che facevano parte della collezione di dischi dei suoi genitori.
La cosa più interessante è che non si rifà a brani celebri, a classici assodati, a parte un paio di pezzi, ma scava nel profondo del canzoniere americano e riporta a galla tracce rese celebri dai musical di Broadway, colonne sonore di film, opere teatrali. I brani rifatti sono di personaggi pluripremiati, famosissimi quali Hoagy Carmichael, Henry Mancini e Johnny Mercer, Rodgers e Hammerstein, Jerome Kern, Harold Arlen e tanti altri. Quindi il rock non c’entra nulla, piuttosto il termine di paragone va fatto con Frank Sinatra e Bing Crosby.
Gli arrangiamenti sono scarni ma di gran classe, c’è un tocco jazzato e la voce del nostro che può pure non piacere, ma è duttile, gentile e quindi capace di interpretare qualunque genere musicale. Nelle 14 canzoni accuratamente selezionate per l’album ovviamente sono in primo piano l’inimitabile voce e la musicalità incomparabile di Taylor, ma a rendere unico il disco è l’inventiva sua e degli altri coproduttori (il collaboratore di vecchia data Dave O’Donnell e il maestro della chitarra John Pizzarelli) nell’affrontare il progetto: arrangiamenti semplici basati sull’interazione fra le chitarre di Pizzarelli e di Taylor, piuttosto che una scrittura più tradizionale modellata sul pianoforte. L’effetto è ammaliante. C’è un uso avvolgente, ma moderato, dei fiati che dà un ulteriore tocco al programma.
Per avere un’idea si guardi al repertorio: dallo swing sulle note di “My Blue Heaven” di Walter Donaldson e George A. Whiting all’intramontabile “Almost Like Being In Love” di Frederick Loewe e Alan Jay Lerner (da “Brigadoon”); dall’incantevole “The Nearness of You” di Hoagy Carmichael e Ned Washington alla brillante “Sit Down, You’re Rockin’ the Boat” di Frank Loesser (dal successo di Broadway “Guys and Dolls”, alias “Bulli e pupe”); dalla pungente critica sociale di “You’ve Got To Be Carefully Taught” della coppia Richard Rodgers & Oscar Hammerstein ad una superba interpretazione del classico “God Bless The Child” firmato da Billie Holiday con Arthur Herzog Jr., in cui la melodia viene stemperata dalla base jazzata per dare un tocco di calore maggiore.
Opera per palati fini e ascoltatori attempati, cantata e suonata con classe sopraffina e che ha il merito di avvicinare un pubblico all’oscuro di questo materiale!!!


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