HORSE LORDS: “The Common Task”“The Common Task” è l’album che segna il ritorno del quartetto di Baltimora Horse Lords composto da Andrew Bernstein (sax/percussioni), Max Eilbacher (basso/elettronica), Owen Gardner (chitarra) e Sam Haberman (batteria). Con l’endorsement (e il beneplacito) di lungo corso dei Matmos, e una mission ben chiara in testa («fare musica per la liberazione della mente e del corpo»), la formazione fonde sghembe geometrie math rock a massicce dosi di minimal-massimalismi, fascinazioni afrobeat e quadre neo kraut, ripetitività post-rock e complicazioni prog.
Balistiche di un sound disossato, sporcato ma pur sempre disciplinato, come imprevedibilmente free. La band riesce ancora una volta a far convivere i Battles di ritorno su partiture Storm & Stress, come le lezioni di Glenn Branca e il post-rock aperto e illuminato dei Tortoise. Il disco segue “Interventions”, terzo lavoro sulla lunga distanza, dosando impeto e fascinazioni, trovando infine un’invidiabile quadra. L’esordio discografico omonimo, più istintuale ma non per questo meno avvincente, è invece del 2012.
Sono trascorsi quattro anni tra il nuovo album e il precedente, si erano perse le tracce degli Horse Lords, al punto che non era difficile pensare ad uno scioglimento. Non credo siano in molti coloro che gli abbiano ascoltati in passato, chi lo ha fatto saprà che si tratta di una band in cui la proposta è quanto di più originale, esaltante, cervellotica e fisica allo stesso tempo.
Oggi, finalmente, ci è data la possibilità di ascoltarli di nuovo e si confermano, ancora una volta, formazione dall’inesauribile vena creativa, capaci di aggiungere sempre qualche dettaglio in più al proprio blend sonoro. In quest’occasione gli aromi toccano il folk ed il boogie, i Talking Heads e i Battles e, persino, una composizione per large ensemble. L’insieme rimane però sempre uguale a sé stesso e allo stesso tempo cangiante da dare le vertigini.
Il lavoro, sempre sull’etichetta americana Norther Spy, conta di cinque pezzi con durate dilatate (più di 40 minuti), aumentando a dismisura il potenziale trancey già apprezzato nei lavori precedenti, il citato “Interventions” su tutti. L’attacco è grandioso grazie al brano “Fanfare for effective freedom”, pezzo in cui i suoni si diffondono tra efficaci poliritmie, suggestioni world e scenari che mutano in continuazione. La situazione si complica ulteriormente con “Against gravity”, costruita ad incastri lungo una direttiva che miscela free jazz e variazioni minimaliste. Lo scenario si modifica con “The radiant city” lisergica drone music costruita manipolando il suono delle cornamuse, mentre “People’s park” va di funky tra afro, post-punk e manipolazioni elettroniche.
La conclusione è affidata alla lunga (20 minuti) “Integral accident”, una composizione limitrofa alla contemporanea, impervia all’inizio, isolata e dispersa tra voci trovate e manipolazioni elettroniche quasi ambient(ali) per poi incresparsi e crescere groovey e muscolare con tocchi folk attraverso l’uso di sax e cornamuse che connotano di nostalgia il tutto.
Gli Horse Lords sono un’esperienza da non mancare, tra le più preziose degli ultimi dieci anni!!!


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