È giunto il momento di rendere conto del mio passato musicale, quello che, iniziato nel 1976, per alcuni anni non mi permise di uscire da una limitata scelta.
Come molti che hanno cominciato ad appassionarsi alla musica sono stato instradato nella ricerca da alcuni conoscenti più anziani di me.
Nella mia città, in quel periodo, forte era la componente anglofila degli ascoltatori per cui i miei primi acquisti furono orientati verso il progressive che, in quel momento, era il genere di riferimento. A valanga mi gettai nell’acquisto di Yes, Pink Floyd, EL&P, King Crimson, Jethro Tull, VDGG, Gentle Giant.
Di tutti i gruppi che entrarono a far parte del mio quotidiano uno in particolare lo sentii mio fin da subito, i Genesis. La formazione aveva peculiarità da cui io, al tempo neo liceale, mi sentivo colpito ed attratto.
Saranno state le dolci ballate, le impennate ritmiche sempre accompagnate da un aspetto melodico importante, per me erano i migliori ed i miei favoriti.
Un disco divenne il mio must “Foxtrot”, l’album che credo di avere ascoltato più e più volte nella mia vita fino a consumarne i solchi.
Al momento della sua uscita i Genesis erano ad un bivio: continuare o sciogliersi. Il successo tardava ad arrivare e loro riuscivano a vendere quasi esclusivamente in Italia. Il disco fece il botto e i nostri poterono così proseguire la loro attività.
“Foxtrot” attrae fin dalla copertina che ha chiari riferimenti al vero senso delle composizioni.
L’introduzione è da brivido, “Watcher of the skies”, con i suoi ritmi staccati e il largo uso del mellotron per un pezzo che possiamo definire Stravinsky-rock.
Segue un altro brano di gran livello, “Time table”, con un arrangiamento che si dispiega su un crescendo di intensità.
Il successivo è un pezzo di forte asperità e tensione, “Get’em out by Friday”, molto rock e leggermente fuori contesto, ma uno di quelli che al tempo preferivo.
Poco mi comunicava il brano seguente “Can utility and the coastliners” in cui, di nuovo, il mellotron la fa da padrone.
Il secondo lato si apre con “Horizons” un brevissimo esercizio di stile di Hackett alla acustica che è chiaramente ispirata ad una suite per violoncello di Bach.
Ed eccoci finalmente al clou del disco, la lunga suite “Supper’s ready”, composizione che ritengo essere la massima espressione progressiva di Gabriel e compagni: morbide melodie, arrangiamenti sontuosi e classicheggianti, abilità tecnica dei musicisti ed espressività e partecipazione nel cantato.
Sembra di intraprendere un viaggio mitologico-religioso attraverso i sette movimenti di cui si compone la suite. Siamo sprofondati in un senso di mistero attraverso delicati madrigali elettroacustici che movimentano una composizione ispirata ad un evento realmente accaduto a casa di Gabriel e moglie.
Così si chiude “Foxtrot” un album che rappresenta la piena maturità artistica del gruppo inglese e che non verrà mai più raggiunta ne con il celebrato “Selling England by the pound” e neppure con il successivo “The lamb lies down on Broadway” forse più un lavoro che precede quello che Peter Gabriel farà da solista.

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