CUT WORMS: “Nobody Lives Here Anymore” cover albumI Cut Worms pubblicano il doppio album “Nobody Lives Here Anymore”, instant classic country-indie-rock.Il nuovo disco del gruppo è stato registrato tra maggio e novembre 2019 a Memphis, Tennessee, influenzato da country e americana senza disdegnare il passato indie rock del disco d’esordio “Hollow Ground”.

Max Clarke ha immediatamente iniziato a scrivere il materiale del nuovo lavoro dopo un lungo tour di 18 mesi in supporto alla promozione dell’EP “Alien Sunset” e dell’album d’esordio per Jagjaguwar. Per questa raccolta Max ha scritto quasi 30 brani, di cui poi 17 sono finiti nel disco prodotto da Matt Ross-Spang ai Sam Phillips Recording Studio.

È stata assoldata una strepitosa band di indie country rock statunitense con cui ha limato, perfezionato e registrato 17 gemme di americana cosmica. Le nuove “Sold My Soul” e “God Bless The Day” seguono il percorso intrapreso con i primi tre estratti dal nuovo album “Unnatural Disaster”, “Baby Come On” e “Castle in the Clouds”.

Questa opera è un gioiello di ben 80 minuti, un atto d’amore verso la tradizione della musica americana, ma anche una gemma pop senza tempo che non mancherà di essere ricordata in futuro. Clarke è riuscito a riscrivere il passato della musica stelle e strisce e dare all’indie pop rock contemporaneo il gusto tipico dei giorni dei 45 giri e di ‘Top of the Pops’.

I fan dei precedenti dischi di Cut Worms troveranno molto da apprezzare, e grazie ad alcuni hook davvero orecchiabili, sono certo che Clarke guadagnerà anche una sfilza di nuovi seguaci. Quando ho sentito per la prima volta Max Clarke, ero convinto che avesse una parentela con gli Everlys. Il cantautore di Brooklyn, meglio conosciuto con il suo soprannome Cut Worms, canta nello stesso registro nasale di Don e Phil e scrive canzoni che non sarebbero fuori luogo nei dischi dei due fratelli. “Hollow Ground” del 2018 non ha aperto nuovi orizzonti, ma sembrava essere questo il punto: si poteva ritenere una scatola sigillata nel 1958 e contenente una pila di 45’s dell’epoca. Nel suo ultimo doppio LP Clarke tenta di spingere il progetto oltre l’emulazione e in qualcosa di più contemporaneo. Nel suo racconto, parla del guscio vuoto che è l’America del 2020, della ‘cultura del consumo usa e getta e di come i sogni commerciali del dopoguerra non si sono mai avverati, di come niente è fatto per durare’.

Tra le 17 tracce dell’album ci sono alcune delle migliori canzoni fino ad oggi. “Last Words to a Refugee” vede Clarke esibire una gamma vocale più ampia, che si muove tra un tono appassionato e un falsetto dolcificato. “Veteran’s Day” presenta un ritornello accattivante come un classico Everly, anche se suona meno come un facsimile e più come la stessa voce del nostro, sia nel tenore che nella prospettiva.

Il risultato è raffinato e spontaneo, a volte anche mosso da una certa immediatezza. Sembra di intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo, rispettoso delle origini, ma che non sfocia nella mera emulazione grazie alla scrittura che sa miscelare sapientemente passato e presente!!!


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