CURTIS HARDING – ‘If Words Were Flowers’ cover albumCurtis Harding non è l’ultimo arrivato nell’ambito della musica soul, né va ad iscriversi nella lista di coloro che hanno pubblicato dischi nei quali il sound della ‘musica dell’anima’ e temi di critica sociale e politica si sono incontrati, a volte piuttosto forzatamente. In realtà, il percorso artistico ed il messaggio del suo autore partono da molto, molto più lontano.

Curtis è figlio d’arte, la madre è una cantante di gospel ed ha imbevuto il figlio di amore per la musica fin dalla più tenera età, quindi influenzando la sua crescita artistica. Il palco è stato il suo apprendistato, all’interno di quel vivaio di talenti che è l’ambiente della musica gospel prima, ovviamente, ma in seguito venendo anche a contatto diretto con la scena hip hop e militandovi in veste di rapper e perfino collaborando con una serie di musicisti rock dell’area di Atlanta, Georgia – dove ha finalmente fondato la propria base operativa.

Harding è un enigma, un ritorno al passato in un mondo moderno, ipnotizzato dai fiati psichedelici del jazz e dai groove rilassanti del soul. Mentre l’R’n’B contemporaneo abbraccia l’elettronica, il suo terzo album, “If Words Were Flowers”, rimane ancorato alla semplice bellezza degli strumenti dal vivo. Questa è una raccolta di canzoni eleganti e raffinate senza essere sovraprodotte.

C’è un’inquietante armonia di un coro sullo sfondo di “Hopeful” e archi operistici che si librano in “With You”, ma è abbastanza, mentre si trova a cavallo del confine tra il crooner innamorato e il commentatore fatalista. “Where’s the Love”, che ricorda Gil Scott-Heron, invoca una tensione cinematografica mentre il nostro chiede esplicitamente empatia in un mondo sempre più diviso su un ritmo scarno, ma drammatico.

“So Low” è la cosa più vicina ad Harding che abbraccia il 21° secolo, dove, con un vocoder ispirato a 808 e Heartbreak sulla sua voce, si arrende alla vulnerabilità che sta divorando il suo corpo e la sua anima e crea la canzone più sperimentale del suo catalogo. Come risultato, “If Words Were Flowers” non conquisterà alcun nuovo fan, ma è un’esplorazione contemplativa e ponderata dell’amore moderno attraverso il prisma dell’anima tradizionalista.

Forse il buon Curtis Harding deve ancora scegliere chi voglia essere, un musicista di talento oppure un intrattenitore di mestiere. Deve decidere se vuole colpire un pubblico esperto ed attento o gli basta essere apprezzato dal popolo generalista e radiofonico. In definitiva deve trovare una propria cifra stilistica.

È indubbio che il lavoro sia un ascolto estremamente piacevole, la commistione di chitarre e fiati danno luogo a momenti di spiritual jazz, soprattutto per le atmosfere, per poi dirigersi in mille percorsi diversi. Per la prossima volta mi auguro che sappia, finalmente, dare luce ad un disco con scelte nette e decise, anche a scapito della perdita di consensi. Insomma è giunto il momento di proporre una scaletta di brani che non siano solamente piacevolmente ascoltabili, ma memorabili, perché ne sarebbe assolutamente capace!!!


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