CAROLINE – ‘Caroline’ cover albumIn “Dark Blue”, la traccia di apertura del debutto omonimo di Caroline, il violoncellista/cantante Jasper Llewelyn canta un semplice ritornello: ‘Voglio tutto’. È una missiva che potrebbe essere scambiata per arrogante, ma invece risulta cautamente ottimista, poiché lui e i suoi sette compagni di band costruiscono un paesaggio sonoro riccamente strutturato che evoca più di quanto i soli testi possano mai fare.

Prendendo ispirazione dalla musica classica d’avanguardia, dal folk e dal post-rock degli Appalachi, solo per citarne alcuni, il gruppo, composto da Mike O’Malley (chitarra, voce), Casper Hughes (chitarra, voce), Freddy Wordsworth (tromba, basso), Oliver Hamilton (violino), Magdalena McLean (violino), Alex McKenzie (clarinetto/flauto) e Hugh Aynsley (percussioni) ha sviluppato un suono tutto loro, tanto bello quanto inquietante.

“Good Morning (red)” incarna quella sensazione, una svettante sezione di archi romantica che lascia il posto a una cacofonia sconnessa, ma comunque affascinante. ‘Potrei essere felice in questo mondo?’ chiede Hughes, riassumendo la posizione della formazione durante il disco, bloccata da qualche parte tra lo stupore e l’ansia.

Nel complesso, il lavoro sembra radunarsi contro la gratificazione istantanea che è una caratteristica principale di così tanta musica contemporanea—questo non è stato sicuramente realizzato pensando a TikTok, ma incoraggia invece la quiete e la contemplazione, premiando l’ascolto profondo con correnti sotterranee ritmiche che attirano, sei in uno stato meditativo.

I brani di Caroline sono il prodotto di anni di improvvisazione e di delicati ritocchi, e chiunque li abbia visti dal vivo ne riconoscerà alcuni aspetti. Le versioni catturate in questo disco, aiutate sapientemente nel mix finale da John ‘Spud’ Murphy dei Lankum (che ha anche prodotto gran parte di “Cavalcade” dei Black Midi), sono un’istantanea nel tempo, e per giunta meravigliosa, ma lo faranno senza dubbio continuando ad evolversi, proprio come la band stessa.

Sembra quasi inevitabile che l’omonimo debutto dei nostri venga paragonato ai colleghi post-rocker britannici Black Country, New Road. In effetti, entrambe le band attingono da una varietà di stili e utilizzano le stesse suggestioni vocali in voga; dove Black Country, New Road si stabilisce in un groove post-punk quasi jazz su canzoni come “Sunglasses”, Caroline suona principalmente il loro dritto post-rock. Non sono molto diversi, in realtà, da una band come Godspeed You! Black Emperor, solo che Caroline ha la voce, che in armonia con il genere è trattata più come un’altra trama che come punto focale della musica.

L’apertura di quasi sette minuti, “Dark Blue”, ad esempio, funge quasi più da preludio introduttivo che da una canzone in sé, sebbene sia ovviamente una traccia magistralmente realizzata. Si basa su un crescendo ripetitivo, punteggiato da violini, fino a quando la voce non entra, quasi come un canto, su colpi di chitarra minimalisti; la formazione non riacquista mai più quella stessa energia per tutto il resto del brano, concedendo invece a ogni strumento un breve momento di scatenarsi prima di tirare indietro le cose.

Quando il seguente “Good Morning (red)” utilizza un modello simile a un ritmo slowcore, il gioco generale di Caroline diventa chiaro. Le canzoni tornano su sé stesse e ripetono elementi più e più volte, apportando ogni volta solo sottili cambiamenti. È una strategia che premia la pazienza, una tattica davvero molto più radicata negli schemi del post-rock o dello slowcore di quanto non lo siano il post-punk o l’indie rock in grande stile. Anche se i confronti tra Black Country, New Road saranno frequenti, in verità Caroline è più vicina a band come Balmorhea o Rachel’s, sia nel suono che nell’approccio. L’ambient “Engine (eavesdropping)” è un ottimo esempio, una canzone che impiega circa due minuti interi per sbocciare da percussioni estremamente silenziose e spumeggiante a una composizione a tutti gli effetti di droni prima che i fiati e una chitarra blues si facciano strada nel mix; la traccia è cacofonica e disordinata, ogni membro combatte per soffocare gli altri al proprio ritmo, dando al brano una sensazione di improvvisazione.

“Natural Death” è l’apice di tutto. È quello che mette in prospettiva tutto il resto di “Caroline”, che riafferma che ogni pezzo precedente era un trampolino di lancio verso un punto finale particolare.

È anche, forse non a caso, il più tradizionalmente strutturato, passando da una prima strofa ambient, guidata dalla voce a un ponte appassionato in cui zampilli di archi tremolo sfrecciano dentro e fuori su colpi di piatti e colpi di pianoforte prima di una stridente coda di chitarra riproduce il disco. È una composizione davvero impressionante, quella più immediatamente accattivante. Questo non vuol dire che potrebbero non essere necessari alcuni ascolti per colpire, ma una volta che colpisce, lo fa davvero. È un promemoria del fatto che non c’è niente di sbagliato nel concedere un po’ più di spazio per respirare, un po’ più di tempo per sprofondare. “Caroline” è un lavoro che premia la pazienza, e che gran ricompensa è!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *