BOCEPHUS KING- ”The Infinite & the Autogrill- vol. 1”A distanza di poche settimane dall’uscita del nuovo disco di Jono Manson, ecco un’altra pubblicazione da parte di un cantautore canadese profondamente innamorato del nostro paese, James Perry in arte Bocephus King. Il nostro è un uomo di cultura, amante di cinema e di letteratura, persona schietta e sincera e capace di grandi slanci. Alla fine degli anni novanta sembrava una delle “next big things” del cantautorato mondiale. King pubblicò infatti nel 1998 e nel 2000 due tra i più riusciti lavori di quegli anni, “A Small Good Thing” e “The Blue Sickness”, due album che rivelavano un musicista geniale e creativo, con influenze che andavano da Bob Dylan a Van Morrison passando per Tom Waits e Bruce Springsteen, ma anche Townes Van Zandt e Willie Nelson (la splendida “Ballad Of The Barbarous Nights”, che chiudeva alla grande “The Blue Sickness”, sembrava proprio un valzerone del countryman texano). Successivamente il nostro si è un po’ perso a causa di problemi personali che si sono mischiati a quelli di artista, è caduto, ma, fortunatamente, si è rialzato. Oggi è una persona che ha fatto tesoro delle esperienze passate per cui è difficile discernere l’uomo dall’artista, sono diventati un tutt’uno.
Il suo amore per il Bel Paese risulta in questo album in modo rilevante. Non solo esegue due cover di grandi cantautori italiani, ma fin dal titolo, “The infinite & The Autogrill: vol. 1”, ci sono riferimenti nostrani. L’infinito è un richiamo alla poesia di Giacomo Leopardi che Bocephus cantò nel 2016 nel Duomo di Recanati, mente l’autogrill è un tributo alla canzone di Guccini che il nostro portò sul palco ad un recente “Premio Tenco” in versione inglese. Il “Vol. 1” del titolo lascia presagire almeno altri due volumi, una trilogia pensata in Italia, grazie ad alcuni incontri speciali, che hanno portato Bocephus King a incrociare persone come Francesco Guccini o Mario Arcari, e da cui Jamie Perry ha saputo trovare linfa nuova per la propria esistenza, ultimamente segnata dalla scomparsa del padre e dal sopraggiungere della fatidica data dei cinquant’anni, tempo di bilanci e di nuovi slanci.
Sono ormai anni che Perry frequenta il nostro paese, partecipando a più riprese agli annuali Buscadero Day e soprattutto a svariate edizioni del Premio Tenco, ricevendo anche più di un riconoscimento. Senza dimenticare l’amicizia con Andrea Parodi, che lo porterà a produrre i primi due album del musicista di Cantù, e la decisione di intitolare la bellissima antologia uscita nel 2015 “Amarcord”, in omaggio a Federico Fellini.
Questo nuovo album, inciso fra Meda (Brianza) e Vancouver, si dimostra il migliore da lungo tempo a questa parte, grazie ad una ritrovata vena artistica e a una scelta stilistica senza troppi voli pindarici, ma legata ad un blend creativo di rock, folk, Americana ed un pizzico di soul. Tra i musicisti che lo accompagnano troviamo nomi di caratura internazionale come la violinista Scarlet Rivera, il rocker James Maddock e Vini “Mad Dog” Lopez, mitico primo batterista della E Street Band, oltre a realtà nostrane come lo stesso Parodi ed il chitarrista Alex “Kid” Gariazzo (Treves Blues Band).
L’apertura è affidata a “One more troubadour”, traccia decisamente cantautorale in stile west-coast anni ’70 con un suggestivo uso di violino e violoncello, che narra dell’esistenza di un songwriter che, drammaticamente, si trova di fronte alla totale indifferenza del pubblico. “Something Beautiful” è una deliziosa e solare ballata blue-eyed soul chiaramente ispirata alle opere dei primi anni settanta di Van Morrison, con quell’aria californiana ed un gusto pop dietro ad ogni nota. Con “Buscadero”, racconto western, le note cominciano a scaldarsi con fiati tex-mex, ma si percepisce pure un pizzico di Oriente.
“The Other Side Of The Wind” è splendida, una sontuosa rock ballad notturna tra Waits e Springsteen, con le chitarre acustiche ed elettriche a guidare la melodia insieme ad un bel pianoforte e la steel che accarezza in secondo piano. Completamente diversa “John Houston” , un pezzo di frenetico R’n’R’ con uno stile che richiama lo ska e che vede, vocalmente, anche Parodi, Maddock e Lopez.
Come detto all’inizio nel disco sono presenti anche due cover italiane: omaggi ad altrettanti cantautori italiani, Ivan Graziani di “Farewell Lugano”, che diventa una magnifica folk-rock song, e Fabrizio De André di “Crêuza de mä”, quest`ultima con l`emozionante flauto del Maestro Mario Arcari, che restituisce tutto l`incanto dell`originale, anche se viene leggermente accelerata riesce a mantenere intatta la struttura melodica.
Un’opera che lascia il segno, altro lavoro di un musicista d’oltreoceano con il cuore e l’anima in Italia. Non al livello di quello di Jono Manson, ma consigliato senza alcun dubbio!!!


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