Non conosce sosta la ricerca di nuovi talenti da parte di Manfred Eicher per la sua ECM. Oggi è il turno di Areni Agbabian, nata e cresciuta nella assolata Santa Monica, California, con una zia armena cantante d’opera, una madre profonda conoscitrice di musiche tradizionali armene per cui non le sono mai mancate le possibilità di cibarsi di musica di tutti i generi e provenienze.
No ha solo ascoltato, ma ha fatto diverse esperienze tra cui quella nel quintetto di Tigran Hamasyan e in ambito di jazz sperimentale in compagnia di personaggi quali Tony Malaby, Jesske Hume, Qasim Naqvi, Julia Wilkins ed altri. All’età di quattro anni già picchiava tamburi e suonava lo xilofono, e aveva solo sette anni quando intraprese studi classici concentrando l’attenzione, per oltre vent’anni, sul pianoforte.
Una voce immediatamente riconoscibile, un tocco pianistico di chiara impronta europea hanno portato alla realizzazione di “Bloom”, un album di folk, jazz e musica contemporanea che si fondono in composizioni dai toni austeri, minimali, eterei. Il minimalismo è avvolgente, al limite del romanticismo (“Patience”), anche quando gli accordi sono leggermente più numerosi, prevale un tono etereo e spirituale (“Mother”). Poche note di pianoforte, percussioni appena sfiorate e un delicato insieme di suoni di gong e campane tibetane (Nicolas Stocker dei Mobile) sono l’humus dove germogliano le dolorose e seducenti armonie di “Bloom”, affidate alla voce dai toni spiritualmente intensi, eppure asciutti di Areni.
La sua musica sembra provenire da altri mondi, non è facile entrarne, ma superate le prime difficoltà sarà arduo staccarsene. Una sonorità pura ed incontaminata come l’acqua di fonti sorgive!!!


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