ANI DI FRANCO: “Revolutionary Love” cover albumPer molti di noi Ani Di Franco è soprattutto un ricordo primi anni ’90 del XX secolo. Ragazza da barricate per i diritti civili (della donna, in particolare), artista dai modi folk-punk e imprenditrice di sé stessa in chiave DIY (pur con un discreto successo mainstream). Le erano vicine artiste quali Michelle Shocked, Phranc tutte preoccupate per le sorti dell’America nelle mani di presidenti quali Reagan e Bush Sr.

Anche nel nuovo secolo la nostra non ha mai lesinato impegno socio-politico e solidarietà, una caratteristica che è rimasta costante nel tempo. Quello che ha subito cambiamenti è la musica. La lunga permanenza a New Orleans ha certamente contribuito ad ampliare la tavolozza compositiva dell’artista di Buffalo. “Revolutionary Love”, ad esempio, ha un elegante andamento soul, e lo stesso vale per “Bad Dream”, che fa pensare un po’ alla Cat Power di “The Greatest” e un po’ a Laura Nyro. Ancor più influenzate dai suoni della Big Easy sono “Contagious Love” (un mambo!) e “Do Or Die” che disegnano uno scenario fatto di vibrazioni pervasive eppure sottotraccia, a volte persino troppo. O forse è che bisogna abituarsi a questa dialettica suoni morbidi-parole affilate.

È un album bello come non accadeva da tempo, ci sono belle canzoni egregiamente interpretate, dal punto di vista sonoro viene dimostrato come si possa essere intensi, delicati e persino originali. La voce arriva al cuore degli ascoltatori forse anche grazie agli strumenti di supporto tra i quali si ergono una chitarra elettrica molto dolente, un wurlitzer, il flauto e il sax ed un utilizzo dei cori di rara perfezione.

“Revolutionary Love”, il brano di apertura, è un sexy e inaspettato ritmo lounge R&B, che ci ricorda ancora una volta la versatile abilità e gli abili collaboratori strumentali di Ani, tra cui il bassista Todd Sickafoose e l’icona delle percussioni Terence Higgins. A livello vocale la troviamo che ricorda Macy Gray dall’anima più lenta o una più semplice Erykah Badu. Con il trombettista Matt Douglas (The Mountain Goats, Josh Ritter) a completare il ritmo, DiFranco si annida comodamente, coltivando liricamente il giardino delle sue emozioni. La canzone 2 “Bad Dream” si apre con uno shuffle di batteria e il coraggioso contrabbasso di Sickafoose, troppo medio in un certo senso per essere jazz, eppure potresti vederlo in qualche modo in un salotto fumoso dei quartieri alti. Ancora una volta, New Orleans, il locale che DiFranco ha chiamato casa dal 2008, filtra dentro. È ammorbidito con l’età, però. Pensa a un R&B rilassato. Il Mellotron fornito da Phil Cook (MegaFaun, Shouting Matches) e una chitarra scorrevole e dolce ci guidano attraverso la fine della traccia nel segmento successivo del disco.

Le tracce 3 e 4, “Chloroform” e “Contagious” arrivano con intro per archi, “Chloroform” più vicino allo staccato e “Contagious” un po’ più slinker. Il primo è vaporoso con effetti di overdub vocale simili a quelli del telefono e interessanti interruzioni di batteria in alcuni punti. La seconda è il gemello irlandese più anziano e più saggio che lascia la sperimentazione e si addentra nel jazz-lounge completo. Se all’inizio non puoi dirlo, aspetta che il sensuale sassofono si riempia e si gonfia.

Il momento clou è rappresentato da “Shrinking Violet”, un vero e proprio motivo blues con un titolo decisamente buono. Naturalmente, i generi sono generici e la canzone stessa è troppo della sua zuppa per essere blues classico. Questo è un complimento. Persino Buddy Guy pensa che il blues sia un gumbo. E quando la chitarra slide in stile Trucks torna di nuovo, è chiaro che Ani ha la sua rotazione specifica come al solito. Terence Higgins, suo collaboratore di lunga data e leggenda di NOLA, tiene pazientemente il sottofondo. Le costruzioni semplici della nostra, sostenute da multipli di tracce vocali, si alzano in modo esuberante e il canto delle corde della chitarra a scorrimento lega con gusto il tutto. Momento un po’ incerto è rappresentato da “Station Identification”, per lo più strumentale, con rumori ed effetti spaziali e la voce filtrata da risultare un pochetto algido.

Lavoro che mette in mostra una Ani Di Franco che ha raggiunto la maturità artistica riuscendo ad incanalare le liriche in un contesto musicale più emozionale che arrabbiato!!!


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