Intorno alla metà degli anni novanta ci fu la rinascita di un marchio, Okeh Records, specializzato in musica jazz e blues, fondato nel 1916 dalla Otto Heinemann Phonograph Corporation. Sin dal 1926, è sussidiario della Columbia Records (ora a sua volta sussidiario della Sony Corporation).
Quando ci fu la restaurazione di tale etichetta le cose che uscirono mi sembrarono tutte di alto livello, tra cui l’esordio di Keb’Mo, Popa Chubby e il disco di un musicista svedese, ma residente a New Orleans, che rispondeva al nome di Anders Osborne. Musicista dalle qualità sopraffine, che non ebbe gran riscontro perché il sound proposto era allora considerato troppo stagionato, fuori dalle logiche delle mode del momento che avevano una certa idiosincrasia per la classicità di rock e blues.
Il buon Anders non si è mai dato per vinto, è passato dall’incidere per le majors per poi firmare per etichette indipendenti, fino ad autoprodursi. Non è però mai mancata la qualità di fondo ai suoi album. Sempre animato da furore hendrixiano, spezie blues, cantautorato vanmorrisoniano e profumi ed aromi funky come solo nei quartieri malfamati di New Orleans si possono ascoltare.
In questa occasione si fa produrre da Chad Cromwell (già protagonista per Neil Young e Mark Knopfler) ed è circondato da eccellenti turnisti che rispondono al nome di Bob Glaub (basso), Benmont Tench (tastiere) e Waddy Watchel (chitarre), alcuni dei session men più apprezzati della west coast.
Farsi aiutare da simili strumentisti gli è servito per miscelare al meglio il R’n’B della “Big Easy” con la canzone d’autore californiana, facendoci partecipi di un lavoro molto più orientato al rock che al blues tipico del quartiere francese o Vieux Carrè. Un rock che ha come riferimenti grandi quali Jackson Browne e Warren Zevon, nell’ambito cantautorale, oppure le sane vibrazioni dei Grateful Dead nel blend rock-jazz folks che emana un brano come “Fields of honey”, oppure le reminiscenze pettiane di “Traveling with friends” e in generale una capacità di far convivere il soul bollente della Louisiana con la coolness malinconica della California.
Fuori dal tempo e dalle mode, ma ancora capace di coinvolgerci come solo il “New Orlean Jazz & Heritage” Festival è capace di fare!!!


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