Ron Miles è un interessante ed avventuroso trombettista americano, sicuramente un dei migliori sulla scena attuale, ma non molto conosciuto. Dopo il momento di notorietà avuto durante i trascorsi con la Gramavision Records a metà Anni ’90 ha avuto un momento di buio negli Anni 2000. Solo nell’ultimo lustro ha ripreso a far parlare di sé grazie al contratto stipulato con la Yellowbird, sottomarca della Enja Records. Ron risiede a Denver sin dalla tenera età di undici anni e cominciò a suonare la tromba durante il liceo. Fu un grande studioso di musica, frequentò l’ Università di Denver dal 1981 al 1985 e la Manhattan School Of Music nel 1986. In quel periodo suonava già sulla scena locale, ma allo stesso tempo si recò in Italia nell’estate del 1992 per la rappresentazione di ‘Sophisticated Lady’. Fu membro della Mercer Ellington Orchestra per un paio d’anni e suonò frequentemente con Bill Frisell durante il 1994 e il 1995 arrivando anche a registrare con il chitarrista. Il Jazz Time lo ha definito ‘Uno dei più raffinati trombettisti dell’attuale scena jazz’.
È uscito da poco il suo nuovo lavoro dal titolo ‘I Am a Man’. Per questo nuovo progetto, oltre al suo trio composto da Bill Frisell e Brian Blade alla batteria, ha aggiunto il pianista Jason Moran ed il bassista Thomas Morgan. Il disco è una celebrazione delle radici spirituali della black music afroamericana. Parlando dell’album Miles rileva come ‘La nostra musica sia sempre stata un tentativo di vincere le avversità, di combattere l’ingiustizia sociale cercando di trovare la soluzione migliore.’
Il riferimento è ad un fatto accaduto a Memphis nel 1968 quando due operatori ecologici vennero travolti da un camion di rifiuti difettoso e rimasero uccisi. I lavoratori scesero sul sentiero di guerra al grido di ‘I am a man!’, volendo così affermare la dignità di qualsiasi professione umana. Con la sua opera ‘I Am a Man’ Miles vuole raccontare quella storia di diritti civili. Come sempre il nostro si serve della sua sensibilità blues e gospel, ma non attribuisce ai singoli strumenti parti individuali, piuttosto la completa partitura, dando quindi la possibilità di improvvisare e di spaziare in prima fila o sullo sfondo. La canzone omonima è un esempio dell’attenzione e prontezza collettiva del gruppo. ‘Revolutionary Congregation’ miscela una certa tenerezza con ruvidi effetti multifonici della sezione fiati. ‘Darken My Door’ mostra un piano ricco di liricismo in contrapposizione ad una certa turbolenza romantica e a groove contry. ‘Mother Juggler’ è uno stupefacente lamento tradotto in termini musicali. Per le sue tematiche di forte impronta sociale il lavoro può essere definito come gospel jazz e ci dà la possibilità di riversare i problemi quotidiani sulla musica e liberarci di conseguenza di tutti quei malesseri che attanagliano la nostra esistenza.

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