Non ho mai avuto grande passione nei confronti dei Gov’t Mule, non li ho trovati interessanti fin dall’inizio, cioè un quarto di secolo fa che viene festeggiato proprio quest’anno. All’inizio nacquero come un side project di Warren Haynes e Allen Woody che al tempo erano membri della Allman Brothers Band. Decisero poi di continuare, divenendo nel corso del tempo una delle formazioni più seguite in ambito rock americano con chiari riferimenti a quelle band inglesi anni settanta che a loro volta traevano ispirazione da gruppi americani. Quello che mi rendeva incerto sulla loro proposta era quel suono che, in studio soprattutto, prendeva pieghe hard che mi lasciavano alquanto perplesso e una capacità di scrittura che non era certo di primo livello. Li apprezzavo molto di più nelle esibizioni concertistiche (almeno fino al momento in cui Woody era ancora in vita), infatti il quadruplo del 1999 “Live… With a Little Help from Our Friends” è sempre stato il loro disco da me preferito, anche per la presenza di alcune cover rese in modo personale e sentito.
Per festeggiare l’anniversario di cui sopra i nostri hanno fatto uscire un nuovo album dal vivo, “Bring On The Music – Live at The Capitol Theatre”, che è anche un film diretto da Danny Clinch. Il lavoro discografico e il lungometraggio sono usciti via Provogue/Mascot Label Group. Il disco e il film sono stati registrati al Capitol Theatre di Port Chester, New York il 27 e 28 Aprile 2018. “Bring on The Music – Live at The Capitol Theatre” è disponibile in diversi formati DL, CD, DVD, Blu-ray e vinile. Offre oltre due ore di musica dal vivo, interviste con i membri di Mule, riprese dietro le quinte, foto scattate da Clinch nel corso degli anni e altro ancora.
Sono stati due concerti memorabili, molto lunghi e con brani scelti appositamente per l’evento. La recensione che vi offro è quella relativa al doppio cd standard. Non mi dilungherò su tutti i brani, ma pescherò quelli che mi hanno intrigato maggiormente.
Si parte con “Travelin’ tune (part 1)”, uno dei pezzi la cui durata non supera i cinque minuti, viene suonato in modalità roots, ma senza la steel che caratterizzava la traccia nella versione in studio. È un modo di aggraziarsi il pubblico, per poi scatenarsi in un suono veramente dirompente. “Mule” è uno dei loro cavalli di battaglia, qui si presenta in una veste di oltre dieci minuti di durata, versione tirata, ma non dozzinale. Si assiste a continui interscambi tra chitarra e tastiere, con la batteria di Abts che pesta di brutto.
Trovare “Dark was the night cold was the ground” desta una certa sorpresa. Il traditional arrangiato da Blind Willie Johnson assume una veste di roccioso rock blues della durata di una decina di minuti. L’introduzione è pianistica che lascia poi spazio alla slide di Warren e che forse possiede qualche legame con i Led Zeppelin di “Physical graffiti”.
Bella anche “Thorn of life” che mostra un Haynes capace di lavorare di fino usando timbri e tonalità per rendere la canzone con un’atmosfera sospesa prima dell’ingresso di tutta la band capace di scaricare una potenza che ci lascia senza fiato.
Si replica con “Revolutions come…” composizione che possiede un accattivante giro di basso accompagnato da un organo che tesse le fila fino a quando si sfocia in una jam dal sapore jazzato nella parte centrale per poi incanalarsi in un rock blues ed infine rientrare nel tema originale con il tastierista Danny Louis che si cimenta anche alla tromba.
La tensione rockista si stempera in “No need to suffer” pezzo lento capace di creare un’atmosfera avvolgente ed eterea, ancora una volta mi tornano alla mente i Led Zeppelin, questa volta periodo “Houses of the holy” per via del tipico crescendo creato da un piano elettrico sullo sfondo, capace di permettere ad Haynes di cimentarsi in un solo che lacera l’anima.
Il pezzo forte rimane a mio avviso il lunghissimo medley di “Trane” e “Eternity breath” della Mahavishnu Orchestra capace di addentrarsi in una jam che riporta le note di “St. Stephen” dei Dead e i quattro che danno sfoggio di abilità e anima nei rispettivi strumenti. Un quarto d’ora di assoluto godimento.
Che dire un disco che piacerà non poco agli amanti del rock, suonato splendidamente, ma che mi lascia sempre con i soliti dubbi, ma queste sono mie sensazioni personali su quello che oggi preferisco ascoltare e forse, con l’età che avanza, non si tratta delle sonorità che maggiormente gradisco!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *