ZERO – ‘Naught Again’ cover albumAttivo sin dal suo inizio negli anni Ottanta e Novanta, il gruppo è stato popolato da più di alcuni luminari della comunità musicale della West Coast, tra cui il bassista di lunga data dei JGB, John Kahn, e il tastierista Jefferson Starship/Jorma Kaukonen Pete Sears, e il loro lavoro sul palco è ora documentato su un doppio CD intitolato, senza piccoli tocchi di ironica ironia, “Naught Again”. Registrata dall’esperto audio di lunga data, Dan Healy (con Don Pearson) alla Great American Music Hall di San Francisco nell’ottobre del 1992 (poi mixata per mantenere sia la profondità che la chiarezza dall’ex guru dell’audio dei Weather Report, Brian Risner), musica che per la prima volta ha preso vita nella forma strumentale, qui beneficia sensibilmente del suo abbinamento con i testi del defunto, molto stimato, poeta americano Robert Hunter.

Il collaboratore di lunga data della scrittura di canzoni del defunto leader dei Grateful Dead fornisce un’introduzione ironica (più un epilogo) alla performance dell’ensemble. Un colorato arazzo di suoni si dispiega, ombreggiato non solo dalla chitarra elettrica di Kimock, ma anche dalle linee spiraliformi del sassofono disegnate, con non poca anima, da Martin Fierro; ora deceduto, l’uomo con il sax aveva l’onore di appartenere alla mitica Legion of Mary così come più di alcune delle imprese eclettiche guidate dal defunto Texas Tornado, (Sir) Doug Sahm.

Nella testa, nel cuore e nelle mani di un’unità inferiore agli Zero, “Cole’s Law” potrebbe benissimo essere il gran finale di un set stellare. Eppure non è che un precursore di improvvisazioni più esplorative a venire. Dopo un breve intermezzo fluttuante, “Tangled Hangers” è un’opera di cambiamenti densamente tracciati, impreziosita da un sapiente tocco di leggerezza collettiva: una fluidità costante può, infatti, essere il segno distintivo dei nostri. I musicisti sono in costante movimento in avanti, ma non c’è mai alcun senso di fretta, come nel caso dell’intermezzo, del tutto troppo breve, che mette in evidenza il pianista, espatriato britannico, Nicky Hopkins (Beatles, Rolling Stones, The Who, Q.M.S.).

Qui è tutta improvvisazione assertiva senza divagazioni disordinate. Il numero modificato di dodici battute chiamato “End of the World Blues” favorisce il passaggio apparentemente rapido di questa durata totale di novanta minuti di questa pubblicazione di Omnivore Recordings: il cantante Judge Murphy intona le immagini post-apocalittiche, ma comunque personalmente rilevanti, nella poesia di Hunter, con scontroso, risoluto. Questi musicisti hanno chiaramente onorato quelle lezioni apprese sui fondamenti del ritmo e della dinamica prima di questa fusione musicale.

Il materiale di partenza di tale erudita educazione appare anche nel secondo CD sotto forma di alcune coraggiose cover. Il tastierista/cantante Vince Welnick ha portato “Baba O’Riley”, l’inno di Pete Townshend per gli Who, ai Dead all’inizio dello stesso anno di questa esibizione e se questa versione di Zero non è così apertamente drammatica (o estesa) come quelle degli iconici ‘guerrieri psichedelici’ o del quartetto inglese, procede comunque rapidamente dall’atmosfera di “Gregg’s Egg’s” che si trasforma in un gioco così frenetico. Steve Kimock non è mai indebitamente sotto i riflettori durante questi momenti, ma è l’elegante finezza del suo lavoro di chitarra che indica la strada verso un formidabile seguito a “Little Wing” del defunto ‘dio della chitarra’, Jimi Hendrix. Interpretato con non poca maestosità da Derek & The Dominos, guidato da Eric Clapton (e sostenuto da Duane Allman), questa dolorosa ripresa è una lezione oggettiva nella storia del rock contemporaneo da parte di Zero, il cui sforzo su “Naught Again”, specialmente sotto forma di jam tonificante nel pezzo “Golden Road” e nel celebrativo “Tear Tags Off Mattresses”, giustamente si pone come un formidabile lavoro in corso verso la stessa fine onorevole. Non c’è da stupirsi se questa band è di nuovo in tour, anche se in forma modificata. In un riflesso di un pacchetto particolarmente piacevole per gli occhi (stranamente privo di annotazioni storiche, tuttavia), questa aggregazione trascende i facili confronti con i loro santi contemporanei e suggerisce ulteriormente che ha semplicemente graffiato la superficie delle storie che potrebbero raccontare.

Per gli amanti del suono lisergico un must imprescindibile!!!


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